I risultati di un'inchiesta firmata Eurofishmarket

Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute, perchè si tratta di additivi autorizzati utilizzati in modo scorretto.
La legge infatti autorizza nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati) alcuni additivi: quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute.
Purtroppo una norma così semplice e chiara (regolamento CE 1333/2008) non sempre viene applicata in modo regolare. Gli esempi non mancano, basta citare il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del tonno e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti. Le tecniche sono varie: spesso si effettua l'iniezione di una soluzione contenente l'additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che ilprincipio attivo venga assorbito.
Quando il pesce fresco viene "trattato" con additivi leciti deve essere classificato come prodotto alimentare “trasformato”, e quindi non si può scrivere sull'etichetta la parola fresco “fresco”, e non si deve lasciare credere al consumatore che sia tale. Ci sono poi altre questioni colelgate alle false scritte in etichetta come:

Non si tratta di casi isolati visto che secondo il rapporto del Sistema di allerta rapida europeo (Rasff) le frodi e le furberie nel settore ittico sono in crescita. In particolare nel 2009, 32 segnalazioni su 712 (il 4,5%) hanno riguardato irregolarità nell’uso degli additivi nel pesce.
Gli esperti di Eurofishmarket hanno prelevato dal mercato e esaminato in laboratorio numerose specie di pesce alla ricerca di polifosfati, citrati e acqua ossigenata. Le analisi di hanno constatato che:
1) sono presdenti additivi consentiti e non consentiti;
2) a volte quelli consentiti sono utilizzati in quantità superiore ai limiti;
3) alcuni additivi sono usati per alterare la percezione della freschezza (e quindi ingannano il consumatore);
4) alcuni additivi sono usati per trattenere liquidi (dando luogo a una vera frode commerciale);
5) alcuni additivi non sono indicati in etichetta o comunque non in quella visibile dal consumatore.
In particolare, i polifosfati hanno azione legante e si usano per impedire al pesce di perdere l’acqua. Si tratta di un rallentamento del processo naturale che ermette al pesce di mantenere un aspetto “fresco” più a lungo. Questo trattamento è forse un po’ ingannevole, ma è permesso dalla legge e va indicato sull'etichetta. Se per i polifosfati è prevista una dose massima di impiego (5 g/kg per i filetti), per la maggior parte degli altri additivi utilizzati nel settore ittico la norma stabilisce solo la frase “quanto basta”.

L'aspetto curioso è che sulle etichette nessun campione citava la presenza di polifosfati. Alla fine nel 62% dei campioni esaminati sono stati trovati polifosfati non dichiarati in etichetta. La percentuale arriva all'84% per i filetti di pesce (21 casi positivi su 25). Le percentuali più elevate di additivi sono state trovate proprio nel prodotto venduto come “fresco”.
Se per i polifosfati non c’è la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta e il fosfato bibasico che si riscontra nelle analisi potrebbe in linea teorica derivare da cause fisiologiche o da altri coadiuvanti tecnologici, la presenza di citrati è invece sicuramente indice di un'aggiunta artificiale (l’acido citrico è totalmente assente nel pesce). Questa sostanza viene utilizzata per prolungare la conservazione proteggendo il pesce dall’ossidazione, riducendo così l'irrancidimento dei grassi e le modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l'acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20mg/kg.
Gli esperti di Eurofishmarket lo hanno trovato in abbondanza in alcuni campioni di filetti di Alaccia asiatica (286 mg/kg) congelati, di filetti di Platessa surgelati (1140 mg/kg), e in un filetto di Platessa venduto come fresco (2250 mg/kg), senza che fosse dichiarato in etichetta. In conclusione, il 36% dei campioni sono risultati positivi, e in particolare modo si tratta di pesci piatti, cefalopodi e pesce azzurro.
L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici è vietato, ma in realtà il sistema viene utilizzato spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una Circolare del ministero della

L'acqua ossigenata viene usato in modo ilelcito perché rende più bianche le carni, in particolare dei cefalopodi (per esempio seppie, calamari, totani) il cui candore è particolarmente apprezzato dal consumatore.
Per vedere gli effetti dell'acqua ossigenata, gli esperti hanno confrontato il decadimento qualitativo di un campione di alici dopo 4 giorni di sosta in frigorifero rispetto a un gruppo di alici trattate con acqua ossigenata. Il risultato è interessante perché le alici non trattate hanno perso tutte le caratteristiche di freschezza (occhio opaco e infossato, opercoli bruno-giallognoli, tracce ematiche…), mentre quelle lavate con acqua ossigenata sembrano appena pescate. La stessa cosa si registra per i filetti di alici non trattati che diventano di colore rosso scuro, mentre quelli trattati mantengono un colore bruno chiaro tendente al giallo.
Purtroppo dimostrare con certezza l’uso di questa sostanza è molto difficile, perché i perossidi, una volta esplicata la loro azione, scompaiono.

Gli additivi alimentari però non vanno demonizzati quando sono usati nei modi previsti dalla legge. I consumatori però devono saperlo e le etichette devono essere corrette. In realtà spesso le violazioni avvengono perché i produttori cercano di venire incontro a esigenze estetiche, che però non sempre coincidono con il valore nutrizionale e la salubrità di ciò che mettiamo nel piatto.
Mariateresa Truncellito da http://www.ilfattoalimentare.com/ foto: Photos.com
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