Valle Sacchetta Sacchettina

Valle Sacchetta Sacchettina
visitata lo scorso 13 novembre

martedì 31 maggio 2011

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/si-alle-sardine-no-ai-gamberi/2152505

Che pesce mangiamo? Nuove tecnologie contro le frodi

di MONICA RUBINO  da Kataweb.it
La Commissione europea pubblica un rapporto sulle nuove tecnologie molecolari, basate sulla genetica, che possono contribuire alla lotta contro le pratiche illegali e rafforzare la tracciabilità anche dei prodotti trasformati, come il pesce in scatola. E intanto i prezzi troppo alti del pesce fresco frenano i consumi
GRAFICO Una fronde in 5 tappe TABELLA Le truffe più comuni
Tagli di pesce lupo di poco valore venduti come costosi filetti di sogliola, pesce pangasio del sudest asiatico spacciato per ricciola, oppure merluzzo pescato nel mare del Nord che viene fatto passare per più pregiato merluzzo del mar Baltico: ecco alcuni tra gli esempi più comuni di frode nel settore della pesca (GUARDA LA TABELLA). Un rapporto della Commissione europea appena pubblicato segnala come le tecnologie molecolari, basate sulla genetica, la genomica, la chimica e la medicina legale, possano dare risposte precise a domande come: "da che specie di pesce viene questo prodotto, dove è stato pescato, è di allevamento o no?". La relazione del Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione, dal titolo "Lotta alle attivita' illegali nel settore della pesca" ('Deterring illegal activities in the fisheries sector') spiega in che modo queste tecnologie possono contribuire alla lotta contro le pratiche illegali e rafforzare la tracciabilità - anche per i prodotti trasformati come il pesce in scatola - "dal mare alla tavola".

Le frodi più comuni. Quello ittico è tra i settori alimentari a maggior rischio di truffa. Nell'ultimo anno i sequestri più consistenti sono avvenuti soprattutto in Campania, Puglia e Marche: ben 6.677 i controlli svolti dai Nas, 160 le tonnellate di prodotti ittici sequestrati, 588 i reati e gli illeciti amministrativi scoperti, pari a quasi 700 mila euro di sanzioni.
Due delle tecniche fraudolente più diffuse nel settore della pesca sono l'indicazione, in etichetta, di un nome falso della specie di pesce o del prodotto della pesca venduto oppure la dichiarazione di una falsa origine geografica. Per non parlare poi del processo di rigenerazione del pesce scaduto che viene venduto come fresco: per eliminare la puzza,  si lava con acqua, sale e aceto. Spesso si asportano, o addirittura vengono colorate, le branchie. E se gli occhi appaiono “offuscati” si sostituiscono direttamente. GUARDA IL GRAFICO

Secondo il regolamento Ue n. 104\2000 le etichette devono contenere tre requisiti fondamentali: la denominazione commerciale della specie, l'area di pesca e il metodo di produzione (con le diciture “pescato”, “prodotto dalla pesca in acque dolci” oppure “allevato). Una recente indagine del Movimento difesa del cittadino svolta in 157 banchi vendita in 10 mercati rionali di altrettante regioni italiane ha messo in evidenza che solo il 26% di questi presentava correttamente le informazioni al consumatore. E' importante anche sapere se il prodotto che stiamo comprando è fresco o decongelato, altrimenti possiamo commettere l’errore di ri-congelarlo di nuovo. 

Le tecniche molecolari. La relazione del Ccr descrive in che modo le metodiche molecolari, come quelle basate sulla tecnologia del Dna, permettano di identificare le specie anche nei prodotti trasformati, senza bisogno di conoscenze specialistiche. Le tecnologie molecolari costituiscono perciò "un potente strumento di controllo indipendente e possono essere utilizzate nel processo di verifica, in particolare durante il cosiddetto esame fisico di una partita, di un prodotto, di un container o di un magazzino". Tra le misure concrete proposte dall'Ue anche quella di dare accesso ai laboratori di analisi degli stati membri ad archivi comuni di dati di riferimento e ad altre conoscenze utili per l'analisi dei pesci e dei prodotti della pesca. 

I consumi di pesce. Il caro prezzi spinge gli italiani a mangiare meno pesce e a rinunciare soprattutto a quello  fresco. E' quanto emerge da uno studio Ismea ((Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) diffuso al Slow  Fish 2011 di Genova, secondo il quale gli acquisti domestici nel 2010 hanno segnato, nel segmento del fresco, una contrazione del 5,7% su base annua, in risposta a un aumento dei prezzi di oltre il 4%. Oltre al pesce fresco, penalizzato anche il congelato sfuso, mentre la classifica delle specie più acquistate vede in testa i mitili, seguiti da orate, alici, spigole e vongole. Sempre lo scorso anno le importazioni di prodotti ittici sono cresciute del 2,5% in volume e del 10,8% in valore, per un quantitativo che ha sfiorato i tre quarti del fabbisogno nazionale. "In generale - spiega l'Ismea - con la sola eccezione del decongelato, il giudizio dei consumatori sugli aspetti salutistici dei prodotti ittici è sempre positivo, anche in considerazione della digeribilità e della leggerezza. Ma è evidente che alle preferenze espresse dai consumatori corrisponda, nei fatti, un diverso comportamento di acquisto, condizionato nel momento della scelta soprattutto dal fattore prezzo".                                                          (30 Maggio 2011)

sabato 28 maggio 2011

Bioagricoltura notizie di Aiab.it

Relazione della Commissione Eu sulle possibilità di pesca nelle acque comunitarie, AIAB: “Necessario un coordinamento complessivo delle politiche della pesca e dell’acquacoltura, nonché un indirizzamento verso le produzioni di qualità e biologiche”
La relazione della Commissione europea in merito alle potenzialità di pesca nelle acque comunitarie prende atto di una situazione di sovrasfruttamento degli stock ittici conosciuta a livello UE ed internazionale già da diversi anni.
Tutti i rapporti ufficiali, compreso quello annuale della FAO, tendono infatti a sottolineare il raggiungimento generalizzato di limiti di pesca (limiti tecnologici e sovrasfruttamento delle risorse) ed evidenziano invece la crescita delle produzioni di acquacoltura che, oltre a rappresentare un’alternativa sostenibile, potrebbero andare a costituire insieme ad essa, in numerose realtà, un vero e proprio sistema produttivo acquicolo integrato finalizzato alla razionalizzazione dei prelievi e alla sostenibilità del lavoro.
La proposta di applicazione di modalità di pesca basate sul “rendimento massimo sostenibile” e, in particolare, la prospettiva di basare ogni decisione su dati scientifici con un approccio di tipo precauzionale, rappresentano quindi importanti elementi che indicano una tendenza all’allineamento del comparto a criteri di miglioramento delle strategie complessive di sviluppo e di sostenibilità ambientale ed economica già indicate, per l’acquacoltura UE, nella  Risoluzione del Parlamento europeo del 1 7 giugno 2010 – ("Un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea" 2009/2 1 070N1). Indicazioni in tal senso erano già emerse lo scorso anno in seno alla Commissione pesca ed avevano evidenziato le potenzialità dell’acquacoltura, in particolare biologica, nella  creazione di distretti di produzione integrata, nel recupero di numerosi areali produttivi costieri d ella UE nella valorizzazione delle specie autoctone.
Per AIAB ciò che sarà fondamentale per la razionalizzazione delle attività di pesca sarà la possibilità di disporre di una pluralità di pareri scientifici che possano garantire la trasparenza e l’equità di tutto il processo decisionale, così come l’avvio di politiche di promozione e di informazione rivolte al consumatore per diffondere una migliore conoscenza di tutte quelle specie ittiche considerate meno pregiate, ma  particolarmente interessanti, oltre che per aspetti inerenti la sostenibilità del loro prelievo in natura,  sotto il profilo nutrizionale e dell’impatto economico all’acquisto.
Secondo AIAB, inoltre, Il contesto generale evidenzia la necessità di un ripensamento e di un coordinamento complessivo delle politiche della pesca e dell’acquacoltura senza i quali nessuna azione potrà avere piena efficacia e rischia di trasformarsi in un rimedio temporaneo all’emergenza. In questo senso l’attenzione e le scelte dovrebbero essere indirizzate verso le produzioni sostenibili di qualità e biologiche le uniche in grado, allo stato attuale, di fornire garanzie di miglioramento, di innovazione produttiva e di mercato e di razionalizzazione del comparto.

giovedì 26 maggio 2011

Progetto Campagna di promozione della vallicoltura


http://www.vallidapesca.turismoruraleveneto.it/
Il progetto si propone di contribuire ad aumentare il valore aggiunto dei prodotti ittici delle valli del Veneto attraverso una campagna promozionale che ne valorizzi il legame con il territorio. La campagna si rivolge agli utilizzatori dei prodotti di valle sia intermedi (ristorazione, mense, commercio) sia finali (cittadino/consumatore) coinvolgendo le popolazioni locali, le istituzioni e gli operatori socio-economici (amministrazioni locali, GAL, Associazioni dei consumatori, Associazioni degli albergatori e ristoratori, ecc.).
 
Iniziative:
  • sportello informativo “Punto Laguna” aperto alla popolazione e ai turisti a Lova di Campagna Lupia (VE)
  • escursioni in bicicletta nelle valli da pesca del vostro territorio
  • uscite in barca nella laguna sud di Venezia
  • visite all’oasi naturalistica di “Valle Averto” (WWF)
  • degustazioni gastronomiche a base di pesce di valle
  • rievocazioni storiche di antichi mestieri di valle
  • esposizione di attrezzi e reperti testimonianti la vita e i lavori nelle valli da pesca
  • incontri pubblici sulle caratteristiche dell’ambiente vallivo e sul valore dei prodotti della pesca
  • campagna informativa presso biblioteche, punti di informazione turistica e ristoranti, ecc.
PROGRAMMA EVENTI

Conosci il pesce di valle e il suo ambiente?
Apre a Lova di Campagna Lupia lo sportello informativo “Punto Laguna”: consultazione di materiale informativo sulla laguna, le valli e i prodotti della pesca, proiezione di filmati tematici, escursioni ed iniziative culturali.

Tutte le domeniche fino al 17 luglio2011 (8.00-12.00 , 15.00-19.00).
Appuntamenti speciali:
  • Venerdì 10 giugno: Visita guidata nell’oasi WWF di Valle Averto. Ritrovo presso l’oasi alle ore 18.00, a conclusione cena tipica. Prenotazione obbligatoria entro l’8 giugno;
  • Giovedì 16 giugno: escursione in bicicletta con partenza dalla chiesetta di Lugo alle ore 18.00, visita alla chiesetta e all’idrovora, a conclusione cena tipica. Prenotazione obbligatoria entro il 14 giugno;
  • Giovedì 23 giugno: serata culturale presso il Punto Laguna dalle 18.00 alle 22.00;
  • Sabato 25 giugno: Visita guidata nell’oasi WWF di Valle Averto. Ritrovo presso l’oasi alle ore 18.00, a conclusione intrattenimento e degustazione. Prenotazione obbligatoria entro il 23 giugno;
  • Domenica 26 giugno: Escursione in battello di mezza giornata in laguna sud in collaborazione con ATN Lagunasud. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 18 giugno.
  • Domenica 3 luglio: escursione in bicicletta nell’oasi WWF - Valle Averto. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 1 luglio;
  • Domenica 10 luglio: Escursione in battello di mezza giornata in laguna sud in collaborazione con ATN Lagunasud. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 2 luglio.
  • Giovedì 14 luglio: escursione in bicicletta in Valle Perimpiè, con partenza dal Punto Laguna alle ore 18.00, a conclusione cena tipica; prenotazione obbligatoria entro il 12 luglio
Nota Bene: ingresso all’oasi, escursioni in battello e costo cene a carico dei partecipanti.
Iscrizioni: email: vallidapesca@turismoruraleveneto.it Tel: 366.5390913

martedì 24 maggio 2011

Tonno Mareblu lattina trasparente: l'etichetta dichiara la specie e le zone di pesca

L'impegno dell'azienda per l'ecosostenibilità

Su tutte le lattine Mareblu prodotte dal 1 gennaio 2011 ci sono due nuove importanti informazioni sulla  specie di tonno e sulla zona in cui è stato pescato (forse le campagne di stampo ecologista a favore della sostenibilità della pesca cominciano a dare qualche frutto).
  Ilfattoalimentare.it ha seguito con attenzione l’impegno di Greenpeace diretto a una maggiore trasparenza dell’etichetta, per consentire al consumatore una scelta consapevole e per spingere i produttori di tonno ad adottare criteri di pesca rispettosi della specie. 
Mareblu, società del gruppo MWBrands, è la terza marca nel mercato italiano delle conserve ittiche, annuncia una nuova iniziativa caratterizzata dall'attenzione per le problematiche ambientali. In effetti, già nel rapporto Tonno in trappola redatto da Greenpeace, dove gran parte delle aziende produttrici uscivano con le ossa rotte, per scarsezza di informazione e mancata adozione di criteri di approvvigionamento sostenibili, Mareblu era tra i pochi marchi (insieme a Coop e ASdoMAR) a ottenere un risultato accettabile.
Le informazioni sulla nuova lattina “trasparente” non saranno criptate in codici e sigle di difficile interpretazione per il consumatore, ma si troveranno scritte per esteso. E si aggiungeranno a quelle già presenti: data di scadenza, stabilimento, lotto di produzione e barca che ha effettuato la battuta di pesca.
Da gennaio, quindi, il tonno Mareblu sarà totalmente tracciabile.
La varietà utilizzata è la pinna gialla, pescata secondo gli standard dettati dalle organizzazioni internazionali di tutela delle specie marine. I tonni sono lavorati direttamente nelle zone di pesca, nello stabilimento con sede nelle isole Seychelles.
L’innovazione è l’ultima di una serie di iniziative del marchio Mareblu a favore della pesca sostenibile. Il gruppo MWBrands è socio fondatore della fondazione Issf – International Seafood Sustaniability Foundation -un’organizzazione indipendente non governativa che riunisce ricerca scientifica, associazioni ambientaliste e aziende del tonno per elaborare un piano strategico per una gestione responsabile delle risorse degli oceani.
 

Mariateresa Truncellito
http://www.ilfattoalimentare.it/
foto: Photos.com

lunedì 23 maggio 2011

Anguille: facciamo il punto da slowfish.it

In Europa, negli ultimi trent’anni la popolazione di anguille è andata incontro a un costante declino, al punto da essere inclusa nella lista delle specie in pericolo di estinzione stilata dalla Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.

Capire le dinamiche e le cause che hanno portato fino a questo punto non è facile, anche per le molte domande ancora senza risposta sul loro ciclo vitale e sul percorso che compiono per raggiungere le nostre coste. L’anguilla europea depone le uova e si riproduce nel Mar dei Sargassi; da qui le larve migrano verso est e raggiungono le zone dell’Atlantico orientale, dove colonizzano le coste e le acque interne. Dopo qualche anno e un paio di metamorfosi, le anguille adulte raggiungono la maturità sessuale, emergono dai fondali e nuotano in superficie seguendo l’istinto che le porterà a ripercorrere le correnti per raggiungere i Sargassi per riprodursi. Date le difficoltà nel seguire le anguille nel loro percorso, ancora diversi particolari non sono stati chiariti, cosa che non contribuisce a capire come riuscire a farle riprodurre anche in cattività.

Sicuramente, le cause dell’impoverimento della specie sono da rintracciarsi in più fattori a partire dalla pesca eccessiva e dalla possibile presenza di nuovi parassiti, fino ad arrivare al riscaldamento delle acque, alla modifica e alla perdita di habitat e all’inquinamento. Il cambiamento delle condizioni climatiche e il riscaldamento globale potrebbero aver causato l’alterazione delle correnti marine che indirizzavano le anguille durante la migrazione, rendendo il tragitto più lungo e faticoso o addirittura impossibile da percorrere. Inoltre negli ultimi anni la maggior parte dei corsi d’acqua interni sono stati modificati con l’inserimento di diversi sbarramenti, cosa che ha reso più difficile la risalita delle anguille dai mari verso i loro habitat usuali influenzando in qualche modo lo sviluppo e il raggiungimento della maturità sessuale. Anche l’inquinamento delle acque potrebbe aver giocato la sua parte: le anguille, infatti, durante la migrazione che le riporta ai Sargassi non si nutrono, ma vivono dei grassi accumulati durante l’accrescimento nelle acque interne. Tuttavia la presenza di sostanze inquinanti nelle acque e, quindi, nei tessuti delle anguille può alterare l’accumulo adiposo e persino la fertilità.

A complicare le cose c’è anche il fatto che riprodurre le anguille in cattività si è finora dimostrato molto difficile, se non addirittura impossibile. Ultimamente qualche passo avanti almeno in questa direzione sembra essere stato fatto, come dimostrano i recenti progressi del Presidio dell’Anguilla delle Valli di Comacchio dove i numerosi sforzi per migliorare e incrementare lo stock dell’allevamento stanno dando i primi frutti. In ogni caso ridurre i livelli di pesca, limitandola ai soli esemplari adulti e ai periodi giusti che vanno dall’autunno all’inverno, è la prima misura da osservare per evitare che lo stock di anguille si impoverisca ulteriormente. Del resto, questo è esattamente il modo in cui si è sempre comportata la pesca artigianale: i pescatori del Presidio dell’anguilla dei laghi della Tuscia, ad esempio, pescano solo da settembre a dicembre e praticano un metodo di pesca altamente selettivo che non cattura le anguille ancora immature, ma cattura solo una parte di quelle adulte che si avvicinano alla superficie del lago per iniziare la migrazione che le porterà verso i Sargassi.

venerdì 20 maggio 2011

AllertaPrezziPackagingTestEuropaEfsaOGMRecensioni & bufaleLettereRSSAdditivi alimentari nel pesce ed etichette ingannevoli: così prendo in giro il consumatore. I risultati di un'inchiesta firmata Eurofishmarket

I risultati di un'inchiesta firmata Eurofishmarket
Un’inchiesta  della rivista  Eurofishmarket  (numero 1 del 2011) denuncia l'uso generalizato di sostanze chimiche e additivi alimentari per mascherare i processi di alterazione del pesce, per migliorare l'aspetto e aumentare in modo artificioso il peso.
Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute, perchè si tratta di additivi autorizzati utilizzati  in modo scorretto.
La legge infatti autorizza nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati) alcuni additivi: quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non  induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute.
Purtroppo una norma così semplice e chiara (regolamento CE 1333/2008) non sempre viene applicata in modo regolare. Gli esempi non mancano, basta citare  il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del  tonno e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti. Le tecniche sono varie: spesso si effettua l'iniezione di una soluzione contenente l'additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che ilprincipio attivo venga assorbito.
Quando il pesce fresco viene "trattato" con additivi  leciti deve essere classificato come  prodotto alimentare “trasformato”, e quindi non si può scrivere sull'etichetta la parola fresco “fresco”, e non si deve lasciare credere al consumatore che sia tale. Ci sono poi altre questioni colelgate alle false scritte in etichetta come: il rischio di allergie per le persone sensibili,  la possibile frode commerciale dovuta alal vendita di acqua al posto (o allo stesso prezzo) del pesce, l’utilizzo di sostanze che non sono registrate come additivi come l’acqua ossigenata.
Non si tratta di casi isolati visto che secondo il rapporto del Sistema di allerta rapida europeo (Rasff)  le frodi e le furberie nel  settore ittico sono in crescita. In particolare nel 2009, 32 segnalazioni su 712 (il 4,5%) hanno riguardato irregolarità nell’uso degli additivi nel pesce.
Gli esperti di Eurofishmarket hanno prelevato dal mercato e esaminato in laboratorio  numerose specie di pesce alla ricerca di polifosfati, citrati e acqua ossigenata. Le analisi di  hanno constatato che:
1) sono presdenti additivi consentiti e non consentiti;
2) a volte quelli consentiti sono utilizzati in quantità superiore ai limiti;
3) alcuni additivi sono usati per alterare la percezione della freschezza (e quindi ingannano il consumatore);
4) alcuni additivi sono usati per trattenere  liquidi (dando luogo a una vera frode commerciale);
5) alcuni additivi non sono indicati in etichetta o comunque non in quella visibile dal consumatore.
In particolare, i polifosfati hanno azione legante e si usano per impedire al pesce di perdere l’acqua. Si tratta di un rallentamento del processo naturale che ermette al pesce di mantenere un aspetto “fresco” più a lungo. Questo trattamento è forse un po’ ingannevole, ma è permesso dalla legge e va indicato sull'etichetta. Se per i polifosfati è prevista una dose massima di impiego (5 g/kg per i filetti), per la maggior parte degli altri additivi  utilizzati nel settore ittico la norma stabilisce solo la frase “quanto basta”.
Nel corso delle analisi di laboratorio Eurofishmarket ha trovato possibili segni dei polifosfati (fosfato bibasico, che potrebbe essere un prodotto finale della degradazione dei polifosfati) in 7 campioni su 17, in una seconda  campionatura le positività hanno interessato 9 dei 14 campioni analizzati, e in una terza serie di pesci  17 su 22.
L'aspetto curioso è che sulle etichette nessun campione citava la presenza di polifosfati. Alla fine nel  62% dei campioni esaminati sono stati trovati  polifosfati non dichiarati in etichetta. La percentuale arriva all'84% per i filetti di pesce (21 casi positivi su 25). Le percentuali più elevate di additivi sono state trovate proprio nel prodotto venduto come “fresco”.
Se per i polifosfati non c’è la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta e il fosfato bibasico che si riscontra nelle analisi potrebbe in linea teorica derivare da cause fisiologiche o da altri coadiuvanti tecnologici, la presenza di citrati è invece sicuramente indice di un'aggiunta artificiale (l’acido citrico è totalmente assente nel pesce). Questa sostanza viene utilizzata per prolungare la conservazione proteggendo il pesce dall’ossidazione, riducendo così l'irrancidimento dei grassi e le  modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l'acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20mg/kg.
Gli esperti di Eurofishmarket lo hanno trovato in abbondanza in alcuni campioni di filetti di Alaccia asiatica  (286 mg/kg) congelati, di filetti di Platessa surgelati (1140 mg/kg), e in un filetto di Platessa venduto come fresco (2250 mg/kg), senza che fosse dichiarato in etichetta. In conclusione, il 36% dei campioni sono risultati positivi, e in particolare modo si tratta di pesci piatti, cefalopodi e pesce azzurro.
L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici è vietato, ma in realtà il sistema viene utilizzato spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una Circolare del ministero della Salute che ribadisce il “divieto di utilizzo di perossido di idrogeno a contatto con il pesce destinato al consumo alimentare umano”.
L'acqua ossigenata viene usato in modo ilelcito perché rende più bianche le carni, in particolare dei cefalopodi (per esempio seppie, calamari, totani) il cui candore è particolarmente apprezzato dal consumatore.
Per vedere gli effetti dell'acqua ossigenata, gli esperti hanno confrontato il decadimento qualitativo di un campione di alici dopo 4 giorni di sosta in frigorifero rispetto a un gruppo  di alici trattate con acqua ossigenata. Il risultato è interessante perché  le alici non trattate  hanno perso tutte le caratteristiche di freschezza (occhio opaco e infossato, opercoli bruno-giallognoli, tracce ematiche…), mentre quelle lavate con acqua ossigenata sembrano appena pescate. La stessa cosa si registra  per i filetti di alici non trattati che diventano di colore rosso scuro, mentre quelli trattati mantengono un colore bruno chiaro tendente al giallo.
Purtroppo dimostrare con certezza l’uso di questa sostanza è molto difficile, perché i perossidi, una volta esplicata la loro azione, scompaiono.
I dati di Eurofishmarket evidenziano  l'uso frequente ldi  additivi in alcuni tipi di pesce fresco (che  non si può più chiamare così) non dichiarati in etichetta come prescrive la legge. L'aspetto allarmante è che gli additivi il più delle volte non  sono utilizzati  per uno scopo tecnologico, ma per mascherare il reale stato di freschezza, variando la colorazione, l’aspetto o aumentando il peso in modo artificiale. C’è anche il probabile uso di sostanze vietate, per le quali dovrebbe essere messo a punto un metodo ufficiale per rintracciarle. Insomma: il Regolamento (CE) 1333/2008 non sembra correttamento applicato.
Gli additivi alimentari però non vanno demonizzati quando sono usati nei modi previsti dalla legge. I consumatori però devono saperlo e le etichette devono essere corrette. In realtà spesso le violazioni avvengono perché i produttori cercano di venire incontro a esigenze estetiche, che però non sempre coincidono con il valore nutrizionale e la salubrità di ciò che mettiamo nel piatto.  
Mariateresa Truncellito   da http://www.ilfattoalimentare.com/      foto: Photos.com

Bluefin Tuna: Overview da eu.oceana.org

Bluefin tuna (Thunnus thynnus)Atlantic bluefin tuna (Thunnus thynnus) is an emblematic species that has been driven toward extinction by overfishing (mainly due to the industrial purse seine fishery and their capture for fattening in cages) and international trade.
The bluefin tuna is a predator and, as such, is in the highest positions in the food chain, playing an important role in maintaining the ecological balance of the marine environment. Furthermore, because of its low reproduction rate and late maturity, at 3-5 years, this animal is very vulnerable to overfishing.
Scientists from the International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) have concluded that Atlantic bluefin tuna face an unprecedented decline to less than 15 percent of its virgin spawning stock biomass (unfished). This species is clearly at risk of extinction.
Bluefin tuna (Thunnus thynnus)Atlantic bluefin tuna (Thunnus thynnus) is an emblematic species that has been driven toward extinction by overfishing (mainly due to the industrial purse seine fishery and their capture for fattening in cages) and international trade.

The bluefin tuna is a predator and, as such, is in the highest positions in the food chain, playing an important role in maintaining the ecological balance of the marine environment. Furthermore, because of its low reproduction rate and late maturity, at 3-5 years, this animal is very vulnerable to overfishing.
Scientists from the International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) have concluded that Atlantic bluefin tuna face an unprecedented decline to less than 15 percent of its virgin spawning stock biomass (unfished). This species is clearly at risk of extinction.

Diossina nel pesce: vietata la vendita di anguille nel lago di Garda, da ilfattoalimentare.it

 Un provvedimento necessario che non deve creare allarmismo

Il ministero della Salute il 17 maggio ha vietato la commercializzazione  delle anguille provenienti dal lago di Garda, perché sono risultate contaminate da diossina. Nel provvedimento si dice che il divieto durerà un anno e  si invitano le Regioni e le Province interessate ad informare i consumatori sui rischi per la salute.

La decisione è stata assunta in seguito ad analisi condotte su 102 campioni di vari pesci  (anguilla, agone, coregone, luccio, pesce persico e tinca) prelevati in 10 località. I laboratori hanno individuato la presenza di una quantità di diossine, furani e PCB superiore ai livelli di legge solo nelle anguille di lago. Questa specie è stata penalizzata perché le diossine si accumulano nel grasso degli animali e le anguille hanno un elevato contenuto di lipidi.
La seconda precisazione da fare riguarda i valori di diossina, PCB e diosisne simili  riscontrati che sono del 15-20 % superiori rispetto a quelli previsti   dall’Unione Europea (14 picogrammi/g è il valore medio trovato mentre  12 piogrammi/g è il valore massimo della norma)  e in questi casi il provvedimento di divieto di commercializzazione scatta automaticamente. Per tranquillizzare la popolazione, il ministero assicura che le acque del lago di Garda sono assolutamente sicure per la balneazione, e non si rileva alcun problema sulla qualità dell'acqua potabile.
Secondo alcuni esperti addetti ai lavori il provvedimento del ministero giunge tardi e dovrebbe essere più preciso. La presenza di diossina nei laghi non è una novità. Le autorità sanitarie Svizzere del Canton Ticino, che inglobano nel loro territorio la parte alta del lago Maggiore, già nel gennaio 2008  ponevano l’accento sul problema della diossina nei pesci (vedi allegato).
Nel gennaio 2009 le stesse autorità svizzere hanno deciso il divieto di commercializzazione di anguille e agoni (un pesce grasso chiamato anche alosa, o sardina di lago) proprio per l’eccesso di diossina.
In Italia non è stato preso alcun provvedimento perchè non si fanno le analisi e quindi il problema risulta inesistente. Nell’autunno del 2010 però i laboratori si sono attivati e si è scoperto che il problema della diossina è comune a molti laghi compreso il lago di Garda. Sulla base di queste indicazioni il ministero  ha deciso di vietare la vendita  di anguille come era lecito aspettarsi.
Il provvedimento è corretto ma rischia di creare un certo allarmismo, perché la parola diossina fa sempre paura, e la reazione dei cittadini sarà probabilmente quella di non mangiare più pesce di lago per un anno. Sarebbe necessario affiancare alla decisione qualche spiegazione, e fare un’adeguata analisi del rischio sulla base dell’esposizione effettiva dei cittadini.
Per esempio le autorità svizzere quando hanno vietato la vendita al dettaglio di alcuni pesci a causa della diossina nel lago Maggiore hanno fatto delle distinzioni.  Divieto  di mangiare agoni del Lago Maggiore a minori di 18 anni e donne incinte, ma hanno anche detto  agli adulti che pescano per hobby di  limitare il consumo a 120 g alla settimana, per fare capire che se assunto in modo ragionato il consumo di pesce non crea problemi. 
Questa raccomandazione lascia intendere che il rischio diossina esiste, ma non deve essere considerato un allarme, ma va inquadrato in un ambito dove è anche ammesso il consumo limitato.

In Finlandia dove si riscontrano problemi simili per le aringhe, le autorità sanitarie consigliano ai giovani e alle donne incinte di mangiare solo pesci di lunghezza inferiore ai 17 cm (esemplari giovani) con una frequenza di 1-2 volte al mese, perché hanno  un contenuto di diossine  compatibile. Un analogo discorso viene fatto per i lucci che avendo un livello di mercurio  elevato, sono sconsigliati  alle donne incinte.
Anche negli Stati Uniti in alcuni laghi ai pescatori sportivi viene distribuito un depliant dove si cosniglia di cucinare i pesci grassi sulla griglia per limitare l’ingestione di diossina, e di i togliere le parti grasse  dove  si  trova la sostanza. Certo stiamo parlando di un consumo occasionale, ma questo messaggio tranquillizza i pescatori e da la giusta dimensione del problema.
Forse anche in Italia sarebbe utile affiancare al provvedimento di divieto deciso dal ministero, alcune precisazioni per evitare allarmismi e il rischio di abbandono da parte dei cittadini del consumo di tutti  i pesci del lago (non solo delle anguille) come accade quando compare la parola diossina.

Documento redatto dalle autorità sanitarie svizzere per spiegare  cos’ è la diossina,  qual è il pericolo e come ridurre  l'ingestione (vedi allegato)
I consumatori possono contenere la propria assunzione di diossine e PCB mediante un'alimentazione moderata, equilibrata (in particolare, riducendo la quantità di grassi animali) e ricca di frutta e verdura.
La popolazione può inoltre contribuire attivamente alla riduzione delle emissioni di diossina nell’ambiente smaltendo i rifiuti secondo le prescrizioni ed astenendosi dal bruciare illegalmente i rifiuti in casa (camini e stufe) o all’aperto. Le emissioni di PCB possono essere ridotte anche nei cantieri o in fase di smaltimento grazie ad una corretta manipolazione dei materiali contenenti PCB (p. es. masse di sigillatura dei giunti, vernici, rivestimenti anticorrosivi, apparecchi e impianti elettrici, residui di processi di triturazione).
Cosa sono le diossine e i PCB?
Nell’uso corrente, il termine “diossine” designa due classi di sostanze molto simili, le policloro-dibenzo-p-diossine (PCDD) e i dibenzofurani policlorati (PCDF), spesso denominate anche PCDD/F. Negli ultimi tempi  a queste si sono aggiunti, a causa della loro azione tossica analoga, anche alcuni esponenti (congeneri) della classe dei policlorobifenili (PCB). Le sostanze appartenenti a questo gruppo sono denominate “policlorobifenili diossina-simili” o “policlorobifenili coplanari” (Co-PCB).


 Diversamente dai prodotti fitosanitari, che vengono impiegati in modo mirato, i contaminanti ambientali ubiquitari sono talmente diffusi da ritenere impossibile l’eliminazione a breve termine dei residui presenti nell’ambiente e nelle derrate alimentari. Per questa ragione occorre fare tutto il possibile per ridurre la contaminazione di fondo.
Rischi per la salute derivanti dalle diossine e dai PCB
Il rischio per la salute è acuto soltanto in caso di incidenti che provocano una forte esposizione a diossine o PCB. Questo non era il caso negli scandali alimentari degli ultimi anni. Secondo calcoli recenti, tuttavia, una parte della popolazione europea assume attraverso l’alimentazione una quantità di diossine e PCB superiore ai limiti massimi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Per questa ragione, le autorità competenti stanno adottando ulteriori provvedimenti per ridurre la contaminazione di fondo.
Il grafico (fonte: rapporto annuale 2004) mostra che circa il 50 per cento delle diossine e dei Co-PCB è assunto dalla popolazione attraverso il latte e i latticini. Questo risultato è confermato anche dai dati più recenti e corrisponde a quanto riscontrato nei Paesi dell’UE paragonabili con la Svizzera.
Roberto La Pira                                                        Foto:Photos.com

mercoledì 18 maggio 2011

Pesca nel Mediterraneo, a rischio squali e razze

Appello Oceana a meeting Marsiglia, minacciato 41% specie

18 maggio, 15:41
Sos per razze e squali, a rischio equilibrio del mare Sos per razze e squali, a rischio equilibrio del mare
(ANSA) - GENOVA, 17 MAG - Adottare misure urgenti di protezione per squali e razze: e' l'appello che Oceana, l'organizzazione internazionale per la conservazione marina, rivolge ai Paesi del Mediterraneo in occasione dell'apertura, a Marsiglia, del meeting della Convenzione di Barcellona.

La riunione, sottolinea in una nota l'organizzazione ambientalista, e' cruciale per decidere il destino di dieci specie nel Mediterraneo minacciate dall'eccesso di pesca. ''La situazione e' disperata per gli squali e le razze del Mediterraneo'', dice Ricardo Aguilar, Direttore della Ricerca per Oceana in Europa. ''Riconoscere formalmente queste specie come minacciate o in pericolo, secondo l'Annesso II della Convenzione di Barcellona, rappresenta un passo fondamentale per aumentarne il livello di protezione. La Ue e i 21 Paesi firmatari della Convenzione di Barcellona hanno l'opportunita' - l'importante responsabilita', di decidere il futuro di queste specie nel Mediterraneo''.

Il Mediterraneo e' la regione di maggior rischio a livello mondiale per squali e razze, con il 41% delle specie considerate minacciate contro il 17% globale. Alcune delle dieci specie considerate durante il meeting di questa settimana hanno sofferto drastiche riduzioni nella popolazione, inclusi smerigli, squali mako e pesci martello, le cui popolazioni mediterranee si sono ridotte del 99.9% durante il XX secolo.

Altre, come la razza rotonda, la razza cornuta e il pesce chitarra comune sono scomparsi da parti del Mediterraneo in cui tempo addietro erano comuni. Queste drammatiche diminuzioni e scomparse, sottolinea Oceana, sono state causate principalmente dalla sovrapesca (cattura sia intenzionale sia accidentale), cosi' come dal degrado dell'habitat.(ANSA).

BUONE PRATICHE Comunismo e pesci a chilometro zero


Stretta tra il megacentro turistico di Lignano Sabbiadoro e le fabbriche dell’entroterra tra cui la famigerata Caffaro di Torviscosa, tra il martello delle speculazioni edilizie favorite dalle locali amministrazioni comunali e l’incudine di un persistente inquinamento chimico tanto da essere riconosciuta come Sito di Interesse Nazionale ai fini della bonifica dei sedimenti, la laguna di Marano tenta di sopravvivere. A provarci sono i nati e residenti dello splendido borgo storico che hanno deciso di mantenere in vita l’antica Comunità composta da tutti gli abitanti nati e residenti nel territorio di Marano che detiene i diritti esclusivi di pesca, caccia e altre attività sulla laguna omonima [circa 9.000 ettari] per diritto consuetudinario di uso civico collettivo.
L’esistenza della Comunità autonoma e indipendente di Marano è riconosciuta fin dal 1420 dalla Repubblica Serenissima, è passata indenne attraverso i governi francesi, austroungarici, del Regno d’Italia e del fascismo [legge 1766 del 1927], oggi però rischia di soccombere per mano della autonoma – ironia della sorte – Regione Friuli Venezia Giulia che con legge ha «sospeso» l’uso civico tradizionale su 700 ettari per favorire concessioni di pesca e di edificazione a privati.
Scherzi della storia a cui però si oppongono i «comunitaristi» della Comunità di Marano [gli abitanti, nati e residenti a Marano], che hanno elaborato un «Piano di gestione per la rinascita della laguna» basato sul principio dell’utilizzo delle risorse endogene del territorio, valorizzando i saperi e le conoscenze maturate dalla comunità, mirato a recuperare redditività alla pesca in laguna avviando la commercializzazione direttamente, anche di specie ittiche oggi non più considerate dal mercato. Quindi, assieme ad alcuni pescatori [quelli che ancora esercitano la pesca professionale tradizionale] e alla Rete di economia solidale del Friuli Venezia Giulia [che raccoglie una ventina di Gruppi di acquisto], hanno dato vita a un ambizioso e straordinario progetto denominato «Pesce a chilometro zero».
Il progetto, frutto di un paziente lavoro di preparazione, è stato presentato lo scorso febbraio nella sala della Vecia Pescaria, così da poter mostrare e assaggiare i prodotti tipici rigorosamente di stagione [gamberetti, latterini, vongole, goatti e cefali, ma poi verrà anche il tempo delle anguille, delle sogliole, delle passere, delle seppie, dei carusoli…] pescati con pratiche tradizionali che tutelano i ritmi e le capacità biologiche della laguna e rispettano anche l’equa distribuzione del lavoro attraverso l’assegnazione per sorteggio delle «seraje», le postazioni delle reti, e cucinati secondo le ricette tradizionali. Un successo.
Risolti alcuni problemi di impianti di refrigerazione, i pescatori potranno liberarsi della intermediazione dei pochi grossisti che monopolizzano il mercato e impongono quantità di pescato sempre maggiore a prezzi sempre meno remunerativi e potranno concordare direttamente quantità, tipologie e prezzi del pescato con i gruppi di acquisto. E’ probabile che alla fine qualche cefalo in meno raggiungerà i mercati di Milano e New York, ma è sicuro che l’ambiente, la società locale, i consumatori ci guadagneranno.
Scrive Nadia Carestiato, studiosa di beni collettivi, che «la concezione della proprietà collettiva e le sue modalità gestionali [sono] basate su meccanismi di controllo e regolamentazione dell’uso delle risorse e di condivisone e partecipazione alle decisioni di tutta la comunità relative al futuro del
proprio territorio».
Viene in mente Slavoj Žižek: «Quanto all’idea di comunismo, andrebbe ridefinita come azione collettiva per proteggere il comune, cioè tutti quegli ambienti che dovrebbero essere esentati dalla logica del mercato: cibo, cultura, scienza, educazione, biogenetica…».
Per saperne di più sulla Comunità di Marano, sul popolo dei beni collettivi le proprietà collettive in provincia di Udine sono leggibili queste pagine web, oltre a www.friuli.net.
da http://www.carta.org/

Valli da pesca, 14 maggio

VALLI DA PESCA: TESORI A CIELO APERTO
di Mimmo Vita   13/05/2011

Veneto Agricoltura e Amministrazione di Campagna Lupia (Ve)
avviano sabato 14 maggio un progetto per valorizzare i prodotti e l'ambiente
delle valli da pesca. Un convegno, l'inaugurazione di uno sportello
informativo, escursioni in bicicletta e in barca, degustazioni.

Le valli da pesca venete rappresentano uno straordinario
patrimonioambientale, naturalistico e produttivo, non sempre però
valorizzato come meriterebbe. A questa lacuna corre in soccorso il progetto
"Campagna di promozione della vallicoltura e della qualità dei prodotti
delle valli venete", promosso da Veneto Agricoltura, Comune e Pro Loco di
Campagna Lupia.

Obiettivo del progetto, finanziato dal Fondo Europeo per la Pesca, è quello
di accrescere ilvalore aggiunto dei prodotti ittici delle valli del Veneto
attraverso una serie di iniziative che ne valorizzino il legame con il
territorio. Un convegno in programma sabato 14 maggio, alle ore 10.00,
presso il Centro Civico di Campagna Lupia, darà il via al ricco carnet di
iniziative che si svolgeranno nella Laguna sud di Venezia nella stessa
giornata di sabato.

Il convegno, che vedrà la partecipazione di Paolo Pizzolato, Amministratore
Unico di Veneto Agricoltura, sarà l'occasione per fare il punto sulla
produzione ittica valliva in rapporto all'ambiente. Il naturalista Giampaolo
Rallo illustrerà infatti i valori ambientali e naturalistici della valli da
pesca, mentre Renato Palazzi, di Veneto Agricoltura, presenterà le
produzioni ittiche tipiche di queste antiche "peschiere". Infine, Lucio
Grassia, esperto ittico, spiegherà le qualità dei prodotti di valle.

La campagna promozionale dell'ambiente vallivo, promossa da Veneto
Agricoltura e dall'Amministrazione di Campagna Lupia, si rivolge ai
cittadini, ai naturalisti, agli utilizzatori dei prodotti di valle quali i
ristoratori, gestori di mense, consumatori, commercianti, ecc. che in questo
modo avranno l'opportunità di conoscere meglio e apprezzare una produzione
di qualità legata ad un ambiente unico nel suo genere. Per questo motivo
sarà inaugurato a Lova di Campagna Lupia, sempre sabato 14 maggio, lo
Sportello informativo "Punto Laguna", un punto di riferimento per i
visitatori che potranno raccogliere ogni tipo di informazione
sulleescursioni in bicicletta attorno alle valli, le uscite in barca nella
Laguna sud di Venezia, levisite guidate all'oasi naturalistica del WWF di
Valle Averto. Sarà inoltre possibile partecipare a degustazioni
gastronomiche a base di pesce di valle, assistere arievocazioni storiche di
antichi mestieri di valle, visitare l'esposizione di attrezzi e reperti
testimonianti la vita e i lavori nelle valli da pesca.

lunedì 16 maggio 2011

Nel collasso degli stock ittici, le dimensioni non contano 13/5/2011 Sloweb


Negli ultimi sessant'anni, le specie piu' piccole pescate a livello commerciale hanno registrato anche il doppio dei collassi delle scorte rispetto ai pesci che occupano un gradino piu' alto della catena alimentare, secondo uno studio pubblicato il 2 maggio scorso sulla rivista americana Proceedings of the National Academy of Sciences.

I pesci di grandi dimensioni sono sensibili alla pesca su scala industriale, e proprio per questo motivo i dirigenti del settore tendono a tutelarne l'esistenza imponendo norme estremamente rigorose. Pesci più piccoli altamente produttivi sono ritenuti essere più resistenti, e vengono, quindi, catturati a un ritmo più sostenuto. Sebbene le scorte di alcune specie di pesci di piccole dimensioni siano crollate – come, per esempio, le sardine del Pacifico negli anni quaranta – pescatori e dirigenti di aziende ittiche hanno, in passato, considerato questi casi come fenomeni isolati, sottolinea lo studio.

«Non ci si era resi conto che tutti questi singoli collassi tra i pesci di piccole dimensioni producono un forte impatto», dice l’ecologo Malin Pinsky, coautore della ricerca «Tutti i pesci, anche quelli piccoli, che ritenevamo avere un'incredibile resistenza, sono, in realtà, vulnerabili al sovrasfruttamento ittico». Pinsky e i suoi colleghi hanno cercato la prova dei collassi delle scorte ittiche in un database, rilevando, a partire dal 1950, la consistenza numerica delle specie di pesce catturate commercialmente nei Paesi industrializzati, e riportando anche i dati concernenti il quantitativo di pesce scaricato nei porti da tutto il mondo. Con loro grande sorpresa, i ricercatori hanno scoperto che la percentuale dei collassi delle popolazioni di pesci di piccole dimensioni è stata doppia rispetto a quella dei pesci di grandi dimensioni. Allo stesso modo, le specie che occupano gli ultimi anelli della catena alimentare registrano una percentuale di collassi doppia rispetto a quelle che si trovano al vertice. Le specie che sono state pescate in modo più massiccio sono quelle più soggette ad easurimento degli stock.

La pesca è la principale causa del declino della popolazione marina, e l'attività ittica viene regolamentata per ogni singola specie. «Peschiamo maggiormente le specie più produttive e meno le specie meno produttive», sottolinea Pinsky «Da quanto detto, si evince che ogni popolazione ittica ha la stessa probabilità di collassare».

Dalle valutazioni concernenti la consistenza numerica degli stock si evince come i dirigenti delle aziende ittiche già riconoscano i rischi per molte specie di pesci di piccole dimensioni, ma il problema fondamentale è come, e dove, indirizzare gli ulteriori sforzi valutativi, sostiene Simon Jennings, ricercatore e consigliere scientifico del Centre for Environment, Fisheries and Aquaculture Science di Lowestoft, nel Regno Unito. Le limitate risorse per una gestione efficiente delle specie più grandi non dovrebbero necessariamente essere deviate verso le specie di piccole dimensioni.

Luca Bernardini
l.bernardini@slowfood.it

Fonte:
Nature.com

giovedì 12 maggio 2011

Usa, campagna choc per salvare

L'organizzazione americana non-profit Ocean Voyage Institute vuole sensibilizzare l'opinione pubblica sull'inquinamento degli oceani e per farlo userà un vero pesce rosso costretto a vivere in un ambiente sporco e tossico. Sconcerto nel mondo degli animalisti
Salvare gli oceani dalla plastica con ogni mezzo necessario. E’ questa la missione dell’organizzazione non-profit americana Ocean Voyage Institute che ha lanciato una campagna ecologista politicamente scorretta sconcertando il mondo degli animalisti. L’iniziativa, studiata e messa a punto dalla agenzia di comunicazione Cohn & Wolfe, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento degli oceani e per farlo userà un vero pesce rosso costretto intenzionalmente a vivere in un ambiente inquinato e tossico. A chi vuole salvare i mari dalla plastica verrà chiesto di donare 5 euro per salvare il pesciolino sommerso dai detriti tossici in un acquario collegato in diretta 24 ore su 24 su Facebook.

L’obiettivo di “Save Kai” – salvate Kai, è questo il nome che è stato dato al piccolo pesce rosso – è quello di coinvolgere i fan di Facebook perché diventino donatori attivi. Lo farà attraverso la riproduzione in “dimensione acquario” del vortice di plastica che ogni giorno minaccia e uccide la vita marina nel Pacifico del Nord.

Attraverso una webcam attiva 24 ore su 24, le persone potranno seguire il pesciolino Kai ed essere testimoni della sua difficile condizione, la stessa minaccia a cui sono sottoposti ogni giorno milioni di pesci a causa dell’invasione della plastica. Per 30 giorni, Kai vivrà in uno spazio circoscritto all’interno di un acquario colmo di rifiuti di plastica, che rappresentano il Vortice di Plastica del Pacifico. Per salvare Kai e rimuovere i detriti dalla sua casetta acquatica, i partecipanti potranno fare donazioni via Facebook di almeno 5 euro dal 10 maggio fino al 10 giugno. La campagna si chiude subito dopo il World Ocean’s Day. Nell’acquario ci sono infatti detriti di diversa natura e di diverso prezzo. Se si vuole togliere una semplice fiche di plastica basta donare infatti 5 euro. Se invece si vuole togliere uno dei bottiglioni di plastica che ostruiscono la webcam occorre donare almeno 20 euro.

Mano a mano che le donazioni aumenteranno, diminuiranno i detriti di plastica nell’acquario, creando per Kai un ambiente finalmente sicuro e pulito in cui nuotare. Tutto il ricavato della campagna sarà devoluto a Project Kaisei per aiutare la prossima spedizione di pulizia dei mari, in programma per l’estate 2011.

“Durante la nostra spedizione del 2010 siamo rimasti sconvolti nel trovare pezzi di plastica che galleggiavano nell’acqua a 1.000 miglia dalla costa, in uno dei più remoti ecosistemi della Terra” – spiega Doug Woodring co-fondatore di Project Kaisei – “Con questa campagna vogliamo aiutare le persone di tutto il mondo a capire l’impatto dell’inquinamento causato negli oceani dalla plastica e a ripensare il nostro modo di usare i materiali che poi finiscono in acqua”.

La questione della plastica negli oceani è cosa piuttosto seria anche da noi e c’è chi apprezza, almeno in parte, lo spirito dell’iniziativa. “Sono contento che si cominci a sensibilizzare l’opinione pubblica verso questo tema – spiega in un’intervista a marescienza.it Giuseppe Nascetti, biologo marino dell’Università La Tuscia di Viterbo – La plastica è un problema rilevante anche nei mari italiani anche se riconosco che la scelta di far vivere volutamente un pesce in un ambiente inquinato è decisamente provocatoria”.

Più che una provocazione, per la Lega Antivisezione, quella di Cohn & Wolfe è un’iniziativa “aberrante” che rischia di vanificare anche gli obiettivi stessi della campagna. . “La scelta – spiega Gianluca Felicetti, presidente della Lav – di rinchiudere un pesce in un acquario, già deprecabile in sé, diventa inaccettabile quando lo si costringe a condividere il “suo” già ridotto spazio con materiali tossici e potenzialmente letali come rifiuti di plastica. Tale scelta, peraltro, ha il risultato di vanificare, a nostro avviso, l’allarme per la salute dell’ecosistema marino, il cui equilibrio è in pericolo a causa del massiccio sfruttamento, oltre che per l’inquinamento”.

Sarebbe meglio, per il presidente della Lav, “usare i pescherecci per ripulire il mare dai detriti plastici, per combattere inquinamento e disoccupazione del settore ittico, ottenendo, di riflesso, il risultato di impiegare altrimenti forza lavoro normalmente usata per depredare gli oceani dai suoi abitanti”.

di Emanuele Perugini
http://www.ilfattoquotidiano.it/

martedì 10 maggio 2011

Cattura esemplari grandi ha mutato evoluzione piccoli pesci, www.ansa.it

Maturano sessualmente e crescono prima,taglia ridotta del 20%

09 maggio, 23:07
 (ANSA) - ROMA, 9 MAG - La caccia e la pesca estensiva dei pesci più grossi di oceani, fiumi e laghi sta modificando molto velocemente e in modo innaturale l'evoluzione di quelli più piccoli, che crescono in modo diverso e maturano sessualmente prima. A rilevare questo fenomeno è uno studio pubblicato sulla rivista Pnas.
In particolare, sembra che il cacciare gli esemplari più grandi stia modificando l'evoluzione dei pesci più piccoli, perché non avendo più la loro 'concorrenza', hanno più cibo a disposizione e crescono e maturano sessualmente più in fretta.Si è notato che la taglia media dei pesci è diminuita del 20%, mentre la durata della loro vita si è ridotta del 25%.
"Le specie più pescate - spiega Michael Kinnison dell'università del Maine - sono quelle cambiate più in fretta nelle loro caratteristiche".I cambiamenti finora documentati riguardano molti pesci, come i merluzzi, le sardine dell'Africa occidentale, le platesse americane, il salmone atlantico di Canada e Regno Unito, le aringhe norvegesi, il salmone keta giapponese, le sogliole europee del mar del Nord, i crostacei della California. Ma ciò riguarda solo i casi documentati e studiati, quindi è probabile che la lista sia più lunga e riguardi tutte le popolazioni di pesci grossi pescati. I ricercatori hanno mostrato che una volta che il pesce ha raggiunto una certa taglia ed età, diventa sessualmente maturo prima rispetto alle precedenti generazioni, perché ha più cibo e cresce più in fretta. Del resto, uno studio condotto sul silverside atlantico in allevamento ha mostrato che una pesca intensiva degli esemplari più grandi può dimezzare la taglia media in sole 4 generazioni. "Se si interrompesse la pesca intensiva degli esemplari grandi - continua - si potrebbe avere un'inversione del fenomeno, ma magari in tempi molto più lunghi. Si dovrebbe evitare di pescare solo gli esemplari più grandi, o stabilire di non pescare nelle riserve dove crescono gli animali grandi".

Pescato in Italia: profilo di settore 6/5/2011 Sloweb

I dati più recenti sul settore della pesca marina forniti dal Centro Studi Lega Pesca indicano una riduzione del numero di addetti nel periodo 2002-2007. Con un maggiore picco tra il 2005 e il 2007, il totale è passato da 33.177 a 28.542, registrando una diminuzione del 14%. In leggera controtendenza la presenza femminile, che ha segnalato un aumento di 107 unità, pari all’8% circa, raggiungendo quota 1449 nel 2007. 

Nonostante traspaia un lieve e continuo invecchiamento degli addetti alla pesca, l’età media resta relativamente giovane, oscillando tra i 41 e 43 anni. Esaminando la loro distribuzione geografica, si rileva per ogni anno una consistente concentrazione delle nascite nelle regioni meridionali e insulari, da cui proviene il 61,4% del totale nazionale degli addetti al settore. 

Gli stranieri impiegati nella pesca costituiscono il 5,8%. Questo dato è un indicatore, e nello stesso tempo una conferma, della tendenza che negli ultimi anni è andata sempre più radicandosi sul territorio nazionale e che vede un incremento dell’impiego di lavoratori stranieri. Provenienti soprattutto dai Paesi del Nord Africa, il loro inserimento è spinto sia da motivazioni di carattere economico, identificabili nei minor costi che questi lavoratori comportano, sia dalla crescente difficoltà di reperire forza lavoro nazionale.

«Gli stranieri sono impiegati principalmente in attività di pesca a strascico mediterranea e oceanica. Questo fenomeno non ha toccato la piccola pesca, basata su un’attività familiare che sostanzialmente esclude la forza lavoro straniera», ha commentato Ettore Ianì, Presidente di Lega Pesca. 

Per quanto riguarda le qualifiche, circa l’88,3% dei lavoratori nel settore rientra nella categoria cosiddetta di “bassa forza”, che comprende, tra gli altri, mozzi, marinai, e giovanotti di coperta. I comandanti, direttori di macchina e meccanici, che rientrano nella categoria di “stato maggiore” rappresentano l’11,4%, mentre i lavoratori “polifunzionali”, cioè chi si imbarca con una doppia funzione, rappresentano solo lo 0,3%. 

«Per gli stranieri è più difficile migliorare la propria condizione e ottenere una qualifica più soddisfacente, e per ovviare a queste difficoltà Lega Pesca è impegnata attivamente nella creazione di corsi di formazione e nello stimolare le istituzioni a rivedere la normativa vigente, che riteniamo punitiva verso i lavoratori stranieri», conclude Ianì. 

Alessia Pautasso
a.pautasso@slowfood.it

http://sloweb.slowfood.it/sloweb/ita/dettaglio.lasso?cod=C2744B880c5b3172CBKXH2D8D9EB&ln=it

mercoledì 4 maggio 2011

Mediterraneo: 40 specie marine minacciate da pesca intensiva

Rapporto Unione Internazionale per Conservazione Natura (Uicn)

40 specie marine minacciate da pesca intensiva nel Mediterraneo 40 specie marine minacciate da pesca intensiva nel Mediterraneo
MADRID, 3 MAG - Il degrado dell'habitat marino, l'inquinamento e la pesca eccessiva stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di 40 specie marine del Mediterraneo. E' l'allarme che deriva dai risultati di studio realizzato dall'Unione internazionale per la Conservazione della Natura (Uicn). Secondo l'organizzazione ambientalista, fra le specie minacciate figura quasi la metà degli squali, delle razze e almeno 12 specie di pesci ossei, fra i quali, Oltre a delfini, balene e tartarughe, il tonno rosso, la cernia, la corvina, il merluzzo.
"C'è una diminuzione stimata del 50% nel potenziale di riproduzione di queste specie negli ultimi 40 anni, provocato dalla eccessiva pesca intensiva", ha spiegato Kent Carpentes, coordinatore della Valutazione globale marina dell'Uicn, in dichiarazioni ai media. E' il motivo per cui tali specie sono state catalogate nel rapporto come "minacciate" o "quasi minacciate" di estinzione nel Mediterraneo. Il rapporto evidenzia la necessità di rafforzare la normativa di restrizione della pesca, di creare nuove riserve marine, di ridurre l'inquinamento e rivedere le quote di pesca, sopratutto riguardo la cattura delle specie a rischio. (ANSAmed)

martedì 3 maggio 2011

www.coldiretti.it


AMBIENTE: COLDIRETTI, FERMO PESCA PER SALVARE PESCE ITALIANO (-50%)

Fermo pesca di quattro mesi per la fascia costiera e blocco dell’attività delle imprese per 30 o 60 giorni, per invertire una tendenza che nei primi mesi dell’anno ha visto crollare la produzione ittica (-50 per cento), tanto che dal prossimo 30 aprile l’Italia dipenderà sempre di più dalle importazioni di pesce straniero. E’ la proposta di Coldiretti ImpresaPesca dopo l’allarme lanciato dal dossier “Fish Dependence Day” presentato da Nef (New Economics Foundation) e Ocean2012, secondo il quale il calo della produzione a livello nazionale ed europeo porterà il nostro Paese a dover acquistare sempre più prodotto dagli altri paesi. Dal 2000, secondo quanto si legge nello studio, la differenza tra la ricchezza dei mari e il prelievo è diventata sempre maggiore e il deficit alimentare è cresciuto senza sosta. Il risultato – sottolinea Coldiretti – è che, secondo il rapporto, il 54% dei 46 stock ittici del Mediterraneo esaminati è sovra sfruttato, tanto che le catture sono diminuite. E, visto che gli italiani consumano la stessa quantità di pesce del 1999, c’è bisogno di importare il 37 per cento in più di prodotto estero. 

Dal 30 aprile, secondo il “Fish dependance day” finirà dunque l'autosufficienza alimentare per il pesce, in anticipo rispetto agli altri stati europei (in Spagna il pesce autoctono si esaurirà l'8 maggio; in Portogallo il 26 aprile; in Francia il 13 giugno; in Germania il 27 aprile; nel Regno Unito il 16 luglio), mentre a livello comunitario la data indicata è quella del 2 luglio.

“Lo sforzo messo in atto negli ultimi 20 anni dai sistemi a traino ha superato la capacità di tenuta dell'ecosistema ed è ora di ripensare politiche e regole a partire dal centro e nord Adriatico – spiega Tonino Giardini, presidente di Coldiretti ImpresaPesca -. Serve un provvedimento d’urgenza per fermare la pesca dal 1° giugno al 30 settembre che preveda la tutela della ristretta fascia costiera fino a 6 miglia, abbinato a un blocco delle attività delle imprese di pesca, almeno in Adriatico, per 30 o 60 giorni in base alla disponibilità economica”.

Dopo il fermo Coldiretti ImpresaPesca ritiene necessaria una ripartenza graduale per evitare un depauperamento veloce delle risorse, vanificando gli effetti positivi della pausa e distruggendo i prezzi sul mercato. Dall’autunno, in particolare, occorrerebbe poi effettuare una riduzione da 5 a 4 giornate settimanali per i sistemi a traino. Serve – sottolinea Coldiretti ImpresaPesca - inoltre creare un distretto di gestione, a partire dal centro Adriatico, per fare in modo che gli areali del Nord possano essere gestiti in maniera differente, con la riduzione dei tempi di pesca ma anche con l’ottenimento di deroghe almeno per quel segmento di flotta con una bassa potenza motore”.

“Solo richiamandoci a un senso etico della pesca – sottolinea Giardini - potremo essere ascoltati e la nostra attività condivisa e sostenuta dal cittadino e dal consumatore, e questo potrà avvenire, come è avvenuto in agricoltura, sposando politiche che tutti comprendono, che non siano vocate solo al profitto, in barba ad una corretta gestione del mare”.