Valle Sacchetta Sacchettina

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visitata lo scorso 13 novembre

martedì 1 marzo 2011

DA ILFATTOALIMENTARE.IT

I pesci vegetariani fanno bene alla salute: il progetto Aquamax per mangimi più salubri e sostenibili

Se i pesci fossero vegetariani, sarebbero più sicuri per l’uomo, meno “costosi” per l’ambiente, ma altrettanto ricchi dal punto di vista nutrizionale? Sì, secondo i ricercatori del progetto Aquamax che hanno messo a punto mangimi a base di vegetali per salmoni, trote e orate per sostituire quelli tradizionali fatti con farine e oli animali con risultati molto positivi.
Aquamax ("Sustainable aquafeeds to maximise the health benefits of farmed fish for consumers")  è stato finanziato dall’Ue con 10,5 milioni di euro e coordinato dall'Istituto nazionale norvegese di ricerca sull'alimentazione e gli alimenti marini (Nifes). Il consorzio ha riunito 33 partner provenienti da Belgio, Cina, Estonia, Francia, Germania, Grecia, India, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Ungheria. Allo studio ha partecipato anche l‘Italia, attraverso l’Istituto superiore di sanità (Iss): Ilfattoalimentare.it ne ha parlato con la ricercatrice Francesca Maranghi che ne ha seguito gli aspetti tossicologici.
Il progetto si è strutturato in 4 differenti aree di lavoro: sviluppare dei mangimi più salubri per l’acquacoltura e, nel contempo, salvaguardare le risorse marine; studiare gli effetti per la salute umana del consumo di pesce alimentato con i nuovi mangimi, concentrando l’attenzione sulle donne in gravidanza e i bambini allergici; valutare la sicurezza del pesce allevato (salmonidi, orate, carpe) con i nuovi mangimi (e questa è stata la parte toccata ai tossicologi dell’Iss); comprendere qual è la percezione del pesce d’allevamento da parte dei consumatori e degli scienziati.
Spiega Francesca Maranghi: «La richiesta crescente di pesce da parte dei consumatori, sulla spinta delle campagne nutrizionali a favore del suo valore alimentare a fronte di un contenuto calorico ridotto che ne fa un alimento ideale per tutte le fasce d'età, comprese le più vulnerabili (bambini, anziani) anche nei regimi dimagranti, sta depauperando l’ambiente, perché molta fauna ittica viene utilizzata per produrre i mangimi a base di farine e oli di pesce». Come si legge sul sito di Aquamax, per produrre 1 kg di salmone destinato all’alimentazione occorrono ben 4 kg di pesce pescato.
L’Italia, a dispetto della tradizione marinara e della ricchezza di ricette che prevedono il pesce, è un po’ in ritardo rispetto alla crescita della domanda: il consumo procapite annuo di pesce è molto inferiore rispetto a quello di carne bovina. Non così nel Nord Europa, e non per caso la ricerca è partita dalla Norvegia.
Continua Maranghi: «Il pesce è una fonte di principi nutritivi importanti, come grassi “buoni” omega tre, proteine facilmente assimilabili, vitamine, iodio e selenio, elementi presenti sia in quello di allevamento che in quello pescato: Aquamax non ha notato dfferenze di rilievo. Di contro, però, le carni possono contenere “contaminanti persistenti”: diossina, PCB (policlorobifenili, in passato usati per esempio nei fluidi per condensatori e trasformatori, circuiti idraulici, come additivi vernici, pesticidi, carte copiative, adesivi…) e ritardanti di fiamma (varie sostanze aggiunte, per esempio a tappezzerie, circuiti stampati, video per computer, contenitori di plastica e i cavi, per ridurre la loro infiammabilità). Questi ultimi sono riconosciuti anche come "interferenti endocrini" (IE) perché hanno effetti a carico del sistema ormonale».
Questi contaminanti fanno parte della “sporca dozzina”, le sostanze delle quali la Convenzione di Stoccolma sugli Inquinanti organici persistenti (POPs) - sottoscritta nel 2001 da 92 nazioni - ha ristretto o bandito la produzione, l’uso, il commercio e lo stoccaggio. Nell’agosto 2010, alla sporca dozzina sono stati aggiunti altri 9 composti chimici (pesticidi e ritardanti di fiamma). Sono tra le sostanze chimiche più studiate perché hanno la caratteristica di accumularsi nei tessuti ricchi di lipidi e di restare nell’ambiente per parecchio tempo dall’immissione. I PCB, per esempio, erano banditi già dagli anni Settanta, ma così come accade per il DDT, sono ancora ampiamente presenti nell’ambiente.
Spiega la ricercatrice: «Diossina, PCB e ritardanti di fiamma (due in particolare, esabromociclododecano e PBDE47) sono stati individuati da Aquamax come i più presenti nel pesce, soprattutto nelle specie ad alto contenuto lipidico: quindi salmoni, sgombri, anguille che, tra l’altro, sono predatori all’apice della catena alimentare (e quindi “accumulano” i contaminanti presenti nelle specie ittiche di cui si nutrono, direttamente o sotto forma di mangimi). Su questi si è concentrato lo studio, per arrivare quindi di produrre mangimi privi di contaminanti, e quindi il più sicuri possibile per l’uomo, ultimo anello della catena stessa».
È intuitivo che mettendo a punto un mangime per i pesci di allevamento più ricco di componenti vegetali e meno di quelle animali (farine  e oli di pesce) si riduce anche la presenza di contaminanti. Il rischio, però, è quello di far “dimagrire” troppo salmoni, trote & C. e quindi di modificarne le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. «Per esempio - puntualizza Maranghi - alterando il rapporto tra acidi grassi omega 3 e omega 6 a sfavore dell’uno o dell’altro si potrebbe compromettere l'obiettivo finale che è quello di avere un prodotto alimentare sano ma anche salutare. Per mettere a punto la miscela “giusta” ci sono voluti anni di lavoro, studiando diverse soluzioni: utilizzando diversi tipi di oli vegetali, variazioni delle percentuali di oli di pesce o delle farine nel mangime, così da ridurre il più possibile la parte proteica animale che può essere a rischio di contaminazione e meno sostenibile dal punto di vista ambientale, ma venire anche incontro alle esigenze nutrizionali ed organolettiche del consumatore. E modificare il meno possibile le caratteristiche intrinseche del pesce. Poi, per valutarlo sul campo, i ricercatori di Aquamax hanno puntato l’attenzione su due gruppi vulnerabili di popolazione: bambini e donne in gravidanza».
All’Iss è stato affidato il compito di controllare la sicurezza dei nuovi mangimi “semi-vegetariani”. «Pesci nutriti con mangime tradizionale e altri con quello messo a punto da Aquamax a ridotta presenza di contaminanti sono diventati la componente proteica delle diete di roditori di laboratorio, e poi è stato studiato l’impatto sulla salute dell’animale stesso. Gli animali sono stati selezionati in una fascia di età, quella peripuberale, che è compatibile con l’esposizione alle sostanze tossiche delle fasce più vulnerabili di popolazione umana. In una fase dello studio è stato valutato anche l’effetto protettivo della dieta quando il roditore veniva esposto direttamente ai contaminanti. Abbiamo trovato dati interessanti: i topini trattati con diete tradizionali, in cui il contenuto proteico era principalmente a base di caseina, risultavano più sensibili all’azione di queste sostanze chimiche tossiche. Per esempio, gli ormoni della tiroide risultavano più alterati rispetto ai topini nutriti con dieta a base di “salmone Aquamax”. Abbiamo trovato alterazioni a anche a carico del sistema riproduttivo e immunitario: la dieta, quindi, modula la riposta dell’organismo  ai contaminanti».
Secondo Aquamax, gli ingredienti vegetali possono sostituire il 70% dell'olio di pesce e l'80% delle proteine marine nei mangimi tradizionali senza avere alcun impatto negativo sulla salute del pesce, e permettendo al salmone di mantenere il suo valore come fonte di acidi grassi salutari per gli esseri umani. Le donne in attesa e i bambini che hanno in grembo sono i più a rischio di essere colpiti dagli inquinanti persistenti, ma, nello stesso tempo, sono anche i soggetti che hanno maggior bisogno dei nutrienti del pesce, omega tre in particolare.
Nello studio, 62 donne in gravidanza hanno consumato due volte a settimana il salmone nutrito con vegetali allevato dagli scienziati, dalla 21° settimana di gravidanza fino al parto. Il team ha anche seguito i neonati per i primi sei mesi. Un gruppo di controllo di 62 donne incinte ha consumato la stessa quantità di pesce come avrebbero fatto normalmente, cioè come una piccola parte della propria dieta generale. I risultati sono stati molto incoraggianti: nel primo gruppo i livelli di omega tre erano elevati sia nella madre che nel bambino, anche se i salmoni avevano ricevuto meno omega tre attraverso il mangime che si basava principalmente su ingredienti vegetali. 

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