Valle Sacchetta Sacchettina

Valle Sacchetta Sacchettina
visitata lo scorso 13 novembre

giovedì 31 marzo 2011

da nationalgeographic.it

Mare
acido

L’anidride carbonica che immettiamo nell’aria penetra anche nel mare e ne provoca l’acidificazione. Fra cent’anni avremo ancora ostriche, mitili e barriere coralline? Anteprima da Nat Geo aprile

martedì 29 marzo 2011

da slowfish.it

Slow Fish 2011 dal 27 al 30 maggio

È stata presentata oggi, a Genova presso Palazzo San Giorgio, la quinta edizione di Slow Fish, manifestazione internazionale dedicata al mondo ittico e agli ecosistemi acquatici, che si terrà a Genova dal 27 al 30 maggio. All’incontro, introdotto da Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale di Genova e da Paolo Odone, presidente Camera di Commercio di Genova, sono intervenuti Marisa Bacigalupo, di Fondazione Carige, Claudio Burlando, presidente Regione Liguria, Carlo Petrini, presidente Slow Food.

Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, ha evidenziato: «Questa sarà la più importante edizione di Slow Fish, per i nuovi elementi, come la collaborazione con il Festival della Scienza di Genova grazie alla quale diversi incontri di approfondimento (Parlami di Mare) si terranno in prestigiose sedi del centro cittadino. Ma anche perché per la prima volta la Commissaria europea agli Affari marittimi e pesca, Maria Damanaki, parteciperà a Slow Fish, individuando nella nostra manifestazione elementi di coerenza con la sua politica. Fin dall’inizio Slow Fish non è stata solamente una fiera, ma un laboratorio di riflessione politica, culturale ed economica sui temi degli habitat acquatici. La scelta non è stata facile e il percorso lungo, ma oggi possiamo affermare che la manifestazione permette di riconoscere Genova come una delle capitali della pesca e non solo del Mediterraneo. Il paradosso è che nonostante questo ci confrontiamo con una riduzione delle risorse economiche di circa il 30%, ma speriamo nei prossimi mesi nel sostegno di altri soggetti sensibili a queste tematiche per offrire ai visitatori una manifestazione sempre più varia».

Marisa Bacigalupo, in rappresentanza del vicepresidente di Fondazione Carige, Pierluigi Vinai: «A partire dal 2009 la Fondazione ha lanciato un nuovo segmento dedicato ai progetti di sviluppo locale, tra cui Mareterra di Liguria, che prevede una serie di azioni che coinvolgono tutto il tessuto produttivo e le scuole della regione ».

Claudio Burlando, ricordando la nascita della collaborazione con Slow Food: «Abbiamo cominciato sette anni fa a confrontarci con Carlo Petrini creando un legame tra tutela del mare e della terra. Oggi Slow Food è radicata in tutto il territorio ligure dove registriamo il numero più alto in Italia di Orti in Condotta curati dalle scolaresche, i Presìdi continuano a crescere e abbiamo inaugurato due Mercati della Terra, quello di Cairo Montenotte e, lo scorso fine settimana, quello di Sarzana. La manifestazione non è solo un evento ormai consolidato, ma un momento di riflessione su noi stessi e sulle scelte di politica economica che ci hanno portato a dissipare le più importanti risorse. Slow Fish è una goccia nell’oceano, ma allo stesso tempo un segnale che insieme a tanti altri può contribuire a cambiare il corso degli eventi. La Liguria senza pescatori non avrebbe senso: la piccola pesca artigianale non è solamente un fattore culturale, ma una risorsa economica centrale. Anche per questo abbiamo deciso, nonostante le difficoltà dovute al periodo di crisi, di continuare a sostenere Slow Fish».

«È una magra consolazione – sottolinea Carlo Petrini ribadendo un concetto espresso da Silvio Greco, presidente del comitato scientifico di Slow Fish - sapere che avevamo già denunciato alla prima edizione della manifestazione lo stato in cui versano i nostri mari. È necessario cambiare i nostri paradigmi quando parliamo di cibo. Innanzitutto dobbiamo ridare valore al cibo e non considerarlo come una commodity, solo ed esclusivamente in base al prezzo del prodotto finito. Per far ciò dobbiamo riconoscere il contributo dei piccoli pescatori, vero presidio del mare, come sono i contadini per l’agricoltura. Questo ruolo deve essere anche riconosciuto dalla politica agricola: non è pensabile che l’80% dei contributi europei sia destinato al 20% dei produttori, perché si considera solo la quantità e non le esternalità positive, come il mantenimento della fertilità dei suoli e l’assetto idrogeologico». E concludendo il suo intervento ha lanciato un proposta: «A Slow Fish dobbiamo far si che la Commissaria europea Damanaki incontri i piccoli pescatori del Mediterraneo. Dall’altro lato del Mare Nostrum sta cambiando il mondo e noi dobbiamo lanciare ponti di pace e non alzare barriere. Genova con Slow Fish deve diventare il luogo di scambio economico e culturale che è sempre stato. Capofila di questo momento di confronto devono essere i piccoli pescatori del Mar Ligure e di Lampedusa».

A partire da oggi sul sito http://www.slowfish.it/è disponibile il programma completo di Incontri con il PescAutore – Granai della Memoria, Laboratori e Teatri del Gusto (prenotabili on line), e delle conferenze di approfondimento dei Laboratori dell’acqua e Parlami di Mare. Nel sito ampio spazio è dedicato alla campagna internazionale Slow Fish, lanciata da Slow Food per informare i consumatori, valorizzare il pesce buono, pulito e giusto, e agevolare il confronto fra gli attori.

Slow Fish è organizzato da Regione Liguria, Slow Food e Mareterra di Liguria – Fondazione Carige con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Provincia di Genova, Comune di Genova, e il sostegno della Camera di Commercio di Genova.

lunedì 28 marzo 2011

da slowfood.it


Sussidi Ue alla pesca illegale
24/03/2011 - Sloweb
Oltre 26 milioni di euro, dal 1994 al 2010, elargito dall'Ue a favore di oltre 130 pescherecci - italiani, francesi e spagnoli - che in molti casi erano già stati sanzionati per infrazioni gravi. Come offrire sussidi a chi è stato condannato per furto. Oltre novanta organizzazioni ambientaliste, tra cui Wwf, Greenpeace, il Gruppo Ambiente Pew e la coalizione Ocean 2012, hanno consegnato una lettera aperta al Presidente Jose Luis Barroso, affinché la Commissione europea intraprenda azioni concrete verso un’abolizione dei sussidi dannosi per l’ambiente.

Il meccanismo è semplice, ma evidentemente funziona male: i fondi passano dall' Europa agli Stati membri. Qui, i ministeri competenti - in Italia quello delle Politiche agricole - li distribuiscono tramite le Regioni ai pescatori, non tenendo conto delle loro infrazioni.

Per Francia e Spagna, parla chiaro una lunga lista, pubblicata sul sito Fishsubsidy.org, che rivela la quantità di denaro pubblico, oltre 13,5 milioni di euro dal 1994 al 2006, elargito in favore di 36 pescherecci sanzionati per infrazioni gravi. Situazione ancora peggiore in Italia, dove circa 100 barche da pesca, molti dei quali ripetutamente multati per pesca illegale con reti derivanti (spadare e ferrettare), hanno ricevuto 13,8 milioni di euro in aiuti pubblici, tra 1999 e 2010.

Tra i casi più evidenti: tra il 2005 e 2006 il peschereccio Sibari II viene sanzionato tre volte per attività illegale con le spadare. Nel giugno 2006 gli vengono sequestrate 11 km di spadare, mezza tonnellata di pescespada e 150 kg di tonno. Dopo pochi mesi riceve 545.000 euro di contributi pubblici. In Spagna nel 2005 la barca Hodeiertza riceve una sanzione per pesca illegale in acque francesi. Costruita con 1,2 milioni di euro di fondi europei, dopo essere stata sanzionata, riceve altri 31.906 euro per ammodernamento nel 2006. Un recente caso mostra, inoltre, la disinvoltura con la quale la Spagna, paese che riceve il 46% degli aiuti comunitari, assegna gli aiuti pubblici nazionali. Nel giugno del 2010, l’impresa ittica spagnola Albacora, proprietaria del peschereccio Albacore Uno, riceve una multa di 5 milioni di euro dal governo degli Stati Uniti per pesca di frodo nelle acque statunitensi. Quattro mesi dopo riceve dal governo spagnolo 307.000 euro per aumentare il livello di sicurezza della sua flotta a rischio pirati nell’Oceano Indiano. In Francia, dove arrivano il 9% dei fondi, nel 2005, dopo aver ricevuto 350,000 di aiuti pubblici, il peschereccio La Pérouse viene fermato per pesca con attrezzi vietati.

La pesca illegale Inn (non dichiarata e non regolamentata), produce un fatturato annuale di oltre 10 miliardi di euro, e raggiunge livelli ragguardevoli anche in acque europee (tra le stime: 66% di tutto il pescato nel Mare del Nord, 50% degli sbarchi di tonno e pescespada nel solo Mediterraneo).

Guarda la lista dei pescherecci illegali che hanno ricevuto sussidi

Fonte:
Corriere.it
fishsubsidy.org
 

da legapesca.coop

L’ EUROPA DÁ SCACCO ALLA PESCA: ARRIVA IL NUOVO REGOLAMENTO UE SUL CONTROLLO
Con la pubblicazione delle norme attuative del Reg. 1224/2009 si completerà il calendario di entrata in vigore di un complesso di norme largamente inapplicabili. Il pericolo è l’effetto illegalità diffusa.
Installazione a bordo di nuovi sistemi di identificazione automatica, nuovi giornali di pesca e dichiarazione di sbarco delle catture cartacea o a trasmissione elettronica secondo la lunghezza della imbarcazione, pesatura a bordo delle catture, note di vendita elettroniche, sanzioni per infrazioni gravi e registro delle infrazioni con licenza di pesca a punti, marcatura degli attrezzi da pesca, tracciabilità e sistemi di controllo della commercializzazione, ed altro ancora: la pesca europea sta per diventare un sorvegliato speciale con nuovi numerosi adempimenti a carico degli operatori e dell’Autorità marittima. Manca solo la telecamera a bordo – di cui a Bruxelles era anche stata ventilata la proposta – per avviare un assurdo “grande fratello” su ogni peschereccio. Il nuovo mostro iperburocratico sta per essere completato con le norme attuative - approvate dal Comitato di gestione della CE la settimana scorsa - che dopo una breve procedura scritta verranno pubblicate all’inizio di Aprile. A nulla sono valse le proteste e le richieste a rivedere un provvedimento che metterà in seria difficoltà la pesca europea, con iniziative che le Associazioni europee e di tutti gli Stati membri hanno sviluppato durante tutto l’iter. Anche la speranza che nelle norme attuative vi fosse qualche elemento migliorativo è stata vana: la CE ha portato a termine una crociata che non potrà che ritorcersi contro la pesca europea e le finalità dello stesso Regolamento. E’ infatti evidente che al di là del mero appesantimento burocratico, diversi problemi tecnici, operativi ed economici metteranno in mora la pesca di diversi Stati membri per la seria difficoltà di attivazione di una macchina infernale, che richiederà interventi a bordo, nei punti di sbarco e negli uffici dell’Autorità marittima, che dovrà ricevere ed ordinare dichiarazioni quotidiane, elettroniche e cartacee, provenienti da ogni singolo peschereccio in tutte le marinerie d’Italia dove si sbarca un pesce (e anche quando non si cattura niente!). Una tagliola ancora più grave se si considera che in caso di inadempienza dello Stato membro nella applicazione del Regolamento, la Commissione Europea ha la facoltà di sospendere i fondi comunitari del FEP a questo assegnati, prima ancora di aprire la procedura di infrazione. Da parte loro, molti operatori si rassegneranno ad operare fuori delle regole, con la inevitabile tentazione a consolidare ed allargare la sfera della propria forzata illegalità. In questa esplosiva situazione probabilmente fioriranno i soliti capipopolo che strumentalmente attribuiranno colpe e responsabilità a 360 gradi accusando tutti di non aver difeso la pesca italiana come fanno loro, e invitando i pescatori alla protesta, con l’appoggio di qualche politico locale o nazionale in cerca di facili consensi. Costoro illuderanno i pescatori sulla possibilità annullare il Regolamento, che essendo stato approvato da un Consiglio dei Ministri per essere modificato richiederà una lunga procedura ed un nuovo voto del Consiglio, come nel caso del regolamento Mediterraneo. In questo quadro, pur nella consapevolezza delle molteplici difficoltà, ma anche dei notevoli rischi degli operatori per i controlli e sanzioni che si moltiplicheranno nel prossimo periodo, il movimento cooperativo della pesca invita responsabilmente tutte le imprese ad attivarsi per raggiungere il massimo livello possibile di adeguamento al regolamento 1224/2009, assicurando nel contempo il proprio impegno per richiamare in tutte le sedi le Istituzioni nazionali e comunitarie sulla necessità di modificare l’approccio con cui applicare alla pesca europea i criteri della sostenibilità, salvaguardando l’ambiente, l’economia delle imprese, l’occupazione ed il ruolo sociale e culturale del settore.
associazione generale
cooperative italiane
AGCI AGRITAL
 
Via A. Bargoni, 78 - 00153 Roma
Tel. 06.583281 - Fax 06.58328350
confederazione cooperative
italiane
FEDERCOOPESCA
 
Via Torino, 146 - 00184 Roma
Tel. 06.48905284 - Fax 06.48913917
lega nazionale
cooperative e mutue
LEGA PESCA
 
Via A. Guattani, 9 pal. B – 00161 Roma
Tel. 06.4416471 - Fax 06.44164723

venerdì 25 marzo 2011

da ansa.it

(ANSA) - VENEZIA, 24 MAR - I pescatori veneti di molluschi di mare chiedono lo stato di crisi, a fronte di una riduzione dell'80% del pescato negli ultimi anni. I soci dei Consorzi di pesca Cogevo di Venezia e Chioggia oggi hanno consegnato 182 licenze all'Autorità Marittima di Venezia, nelle mani dell'ammiraglio Tiberio Piattelli. Ad ogni licenza corrispondono mediamente tre lavoratori marittimi.
Scopo della manifestazione è ottenere la dichiarazione dello stato di crisi da parte del presidente della Regione Veneto e il sostegno di Palazzo Balbi per un incontro urgente al ministero competente per un intervento straordinario a favore delle imprese.
"Da più di due anni - dicono i pescatori - un'intera economia e tutto l'indotto è al collasso, ci è impossibile far fronte alle spese familiari ordinarie". La protesta sottolinea il collasso del settore, con una riduzione del pescato dell'80% nel 2010 rispetto al 2006-2007. In seguito al mancato reddito registrato anche nei primi mesi del 2011 molte imprese hanno deciso di mettere in disarmo la propria imbarcazione e altre sono in procinto di farlo. (ANSA).

lunedì 21 marzo 2011

da nationalgeographic.it

di Paolo Guidetti
In Mediterraneo, culla di civiltà antiche, la pesca è praticata sin dalla preistoria. La piccola pesca tradizionale, pur nella sua attuale natura "commerciale", porta con sé una molteplicità di elementi culturali e storici, accumulatisi nei secoli e tramandati oralmente.

Le comunità di pescatori che vivono lungo le coste del Mediterraneo hanno molti tratti in comune, ma anche tantissime peculiarità che rendono il Mediterraneo una realtà straordinaria in termini di diversità culturale (non meno importante ed altrettanto soggetta ad erosione della diversità biologica).

La piccola pesca tradizionale sta tuttavia attraversando un periodo di crisi profonda e non sono pochi quelli che ormai la considerano "in via di estinzione”. Perdere per sempre questa attività tradizionale, tuttavia, significa perdere non solo un'attività che produce reddito ed occupa (direttamente o per indotto) moltissime persone, ma implica soprattutto le perdita di uno straordinario patrimonio di cultura.

È necessario, quindi, proteggere la diversità culturale del Mediterraneo tanto quanto quella biologica. Per la pesca tradizionale, questo obiettivo si può ottenere
indirizzandola verso la sostenibilità ecologica. Ciò può essere fatto sperimentando nuovi approcci.

Nelle Aree marine protette italiane (AMP), una parte (la zona A) è destinata alla conservazione (non vi si può pescare e non vi si può accedere), mentre una porzione ben più grande (le zone B e C) è destinata ad attività umane, pesca inclusa, da regolamentarsi nell'ottica della sostenibilità ecologica. Le AMP sono quindi lo scenario più adeguato per sperimentare nuovi approcci alla pesca tradizionale.

Presso l'AMP di Torre Guaceto, in Puglia, è stata fatta a riguardo un'esperienza unica.
L'AMP ha una zona centrale dove non è consentito pescare. Tale divieto è stato rispettato dal 2000 (quando è stato nominato il consorzio di gestione) al 2005, quando è iniziato un progetto di co-gestione adattativa della pesca tradizionale in cui il ruolo della ricerca è stato essenziale.

Si è provveduto ad identificare l'attrezzo di pesca meno impattante (cioè che non producesse gravi danni ai fondali, non pescasse i giovanili, né specie ecologicamente importanti) tra quelli tradizionalmente già usati dai pescatori.

Successivamente, insieme ai pescatori ed alla direzione dell'AMP (co-gestione), si è deciso di pescare solo una volta a settimana unicamente nella zona C dell'AMP, con reti più corte e maglie più larghe. Si è deciso inoltre che la pesca sarebbe stata monitorata per prendere di anno in anno le decisione più corrette per gestirla al meglio (questa è la componente 'adattativa').

I risultati: 1) dentro l'AMP, soprattutto in zona A, si è assistito negli anni ad un recupero della fauna ittica e dell'ecosistema nel suo complesso.

2) il recupero della fauna ittica dentro l'AMP ha prodotto il cosiddetto spillover, cioè la tendenza dei pesci, abbondanti dentro l'AMP e soprattutto nella zona A, ad uscire da essa, a vantaggio dei pescatori; grazie all'accordo di co-gestione in zona C dell'AMP i pescatori hanno mediamente realizzato dopo il 2005 catture tra due e tre volte superiori rispetto alle catture normalmente ottenute al di fuori dell'AMP

martedì 15 marzo 2011

da www,informazione.it in attesa della vistita in Blue Valley :)

Dal 26 marzo al 5 giugno 11 fine settimana dedicati alla scoperta dei luoghi più suggestivi del Parco del Delta del Po Emilia-Romagna 

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PARCO DEL DELTA DEL PO EMILIA-ROMAGNA – Un importante appuntamento con la natura, i suoi luoghi straordinari carichi di suggestioni e la sua capacità unica di coinvolgere ed emozionare. Torna, nel Parco del Delta del Po Emilia – Romagna, Primavera Slow, undici week – end, dal 29 aprile al 5 giugno, ricchi di escursioni, visite guidate, lezioni di birdwatching e fotografia, appuntamenti enogastronomici e culturali. 

L’evento prenderà il via con i “Green Days: Ravenna profuma di Parco…e di tartufo” due fine settimana, il 26 e 27 marzo e il 2 e 3 aprile, dedicati a natura, cultura e sapore. L’evento sarà ambientato nella suggestiva Pineta di Classe e nel centro storico di Ravenna, Città Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco e offrirà al pubblico una grande offerta di iniziative a carattere naturalistico ed enogastronomico. Dal centro di Ravenna sarà infatti possibile raggiungere in pulmino elettrico o in bicicletta la Pineta dove, in occasione della tradizionale XXIII Sagra del Tartufo, saranno allestiti il mercato di prodotti tipici e punti di degustazione. Da qui sarà poi possibile raggiungere, scoprire e vivere i luoghi più interessanti del Parco grazie anche al progetto “Vetrina del Parco”, una serie mostre fotografiche naturalistiche, laboratori artistico - creativi e didattici disseminati nelle diverse stazioni. 

Non mancheranno le attività sportive e ricreative, tra le quali ricordiamo “Sciame di biciclette”, il 3 aprile, una pedalata dal centro della città lungo piste, percorsi ciclabili e i sentieri della Pineta ricchi di suggestione e storia, sino al Parco di Classe. 

Primavera Slow continuerà poi durante i fine settimana aprile e maggio e coinvolgerà tutti i luoghi più suggestivi del Parco del Delta, proponendo una forma di turismo davvero “lenta”, eco-sostenibile, quasi “in punta di piedi” per non alterare in alcun modo questo meraviglioso ambiente. A piedi, in barca, in bicicletta e a cavallo si potrà visitare il territorio del Delta ferrarese, da Ferrara a Mesola fino a Goro e Gorino, due antichi borghi di pescatori, poi ancora da Comacchio ad Argenta fino all’Oasi di Bando, con il suo Museo di storia naturale, le postazioni per praticare birdwatching e i suoi ponti sulle valli. 

Molte saranno anche iniziative nella parte ravennate del Parco ricca di luoghi davvero affascinanti come la Pineta di San Vitale, la Pialassa della Baiona, una laguna attraversata da sentieri e prati salmastri ricchi di fauna, la Pineta di Classe e le Saline di Cervia, “dimora” di numerose specie di uccelli, tra cui avocette, cavalieri d’Italia, fenicotteri e anatre. Oltre alle escursioni non mancheranno le iniziative e i laboratori ludico-didattici per bambini presso centri visita e Musei, dalle Saline di Cervia, fino alla Casa delle Farfalle & Co. di Milano Marittima e al Palazzone di Sant’Alberto, sede di un interessante Museo Ornitologico. 

Un altro appuntamento da non mancare partirà il 29 aprile con “Comacchio: emozioni tra valli e mare”, che avrà come protagonista la splendida cittadina e le sue valli ricchissime di ambienti incontaminati ed un patrimonio faunistico davvero unico. Tre giorni, fino al 1° maggio, dedicati a tutta la famiglia, per scoprire in modo “slow” i luoghi più belli e particolari del Delta. Per l’occasione saranno proposte escursioni e visite guidate gratuite, degustazioni di prodotti tipici, lezioni di birdwatching, divertenti laboratori didattici per bambini e, naturalmente, affascinanti gite in barca con sosta ai famosi “Casoni”, tipiche abitazioni usate dai pescatori durante i periodi di pesca ed ai “Lavorieri”, particolari manufatti utilizzati per la cattura del pesce di valle sin dal XIV secolo. Grande spazio sarà riservato anche alla fotografia naturalistica ed ai documentari, a partire dalle mostre: Delta in Focus, con gli scatti dei migliori fotografi naturalistici e Oasis Photo Contest 2010, immagini del concorso internazionale di fotografia organizzato dalla rivista Oasis. Non mancheranno workshop di fotografia teorici e sul campo, passeggiate fotografiche ed emozionanti proiezioni serali di documentari e film dedicati alla natura. 

Primavera Slow continuerà poi durante i fine settimana aprile e maggio e coinvolgerà tutti i luoghi più suggestivi del Parco del Delta, proponendo una forma di turismo davvero “lenta”, eco-sostenibile, quasi “in punta di piedi” per non alterare in alcun modo il meraviglioso ambiente del Parco del Delta. Appuntamento dunque in questo luogo incontaminato per visitare, a piedi, in barca, in bicicletta e a cavallo, il territorio da Ferrara a Mesola fino a Goro e Gorino, due antichi borghi di pescatori, poi ancora da Comacchio ad Argenta fino all’Oasi di Bando, con il suo Museo di storia naturale, le postazioni per praticare birdwatching ed i suoi ponti sulle valli. 

Molte saranno anche iniziative nella parte ravennate del Parco ricca di luoghi davvero affascinanti come la millenaria Pineta di San Vitale, la Pialassa della Baiona, una laguna attraversata da sentieri e prati salmastri ricchi di fauna, la Pineta di Classe e le Saline di Cervia, “dimora” di numerose specie di uccelli, tra cui avocette, cavalieri d’Italia, fenicotteri e anatre. Oltre alle escursioni non mancheranno le iniziative ed i laboratori ludico-didattici per bambini presso centri visita e Musei, dalle Saline di Cervia, fino alla Casa delle Farfalle & Co. di Milano Marittima e al Palazzone di Sant’Alberto, sede di un interessante Museo Ornitologico. 

Da segnalare una grande novità di questa edizione di Primavera Slow 2011, l’evento “Navigare e pedalare è speciale” nei due fine settimana del 21 e 22 e 28 e 29 maggio. Si tratta di un appuntamento nuovo e davvero particolare, organizzato nell’ambito del progetto Datourway, durante il quale i turisti potranno sperimentare nuovi itinerari sul Po di Volano - un ramo del Po che parte dal centro di Ferrara e arriva al mare sfociando ad estuario presso il Lido che porta il suo nome - alla scoperta dei suggestivi piccoli centri e dei loro “tesori” nascosti. Il 21-22 maggio il percorso partirà dalla cittadina di Codigoro e approderà a Goro, suggestiva cittadina di pescatori, mentre il 28-29 maggio si viaggerà da Ferrara verso Massafiscaglia, Migliaro e Migliarino, località che riserveranno al pubblico molte sorprese dal punto di vista culturale, naturalistico ed enogastronomico. 
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L’appuntamento con la natura e le sue emozioni è dunque Primavera Slow con il suo calendario di innumerevoli iniziative e la possibilità di conoscere un ambiente dove terra e acqua si mescolano in modo perfetto ed unico e danno vita a scenari suggestivi davvero da non perdere. 

giovedì 10 marzo 2011

da slowfish.it

Stop alla pesca accidentale, la riforma della politica della pesca Ue

07/03/2011
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La Commissione Europea vuole mettere fine all’inutile spreco di pesci catturati accidentalmente e ributtati in mare, solitamente morti. Il piano proposto dalla Commissaria Europea agli Affari marittimi e Pesca, Maria Damanaki, ha ricevuto il sostegno di numerosi Paesi, tra cui Francia e Regno Unito. Sebbene i movimenti ambientalisti esultino, i rappresentanti dei pescatori hanno denunciato la misura “tirannica”, temendo possa compromettere la loro attività.

«La pesca accidentale e il conseguente gettare i pesci che non interessano il mercato rappresenta un inutile spreco di risorse naturali», ha commentato Damanaki. «Ho intenzione di implementare anche altre misure per combattere il declino degli stock ittici», ha concluso la Commissaria, che sarà presente a Slow Fish, la manifestazione di Slow Food per la pesca sostenibile, a Genova dal 27 al 30 maggio. (http://www.slowfish.it/)

I pescatori sono obbligati a ributtare in mare parte del pescato per rispettare le quote pesca, che impongono di riportare a riva solo una certa quantità di prodotto. Il risultato è che in alcune aree due terzi del pescato veine ributtato in mare, morto.

Ci sono diverse alternative al sistema delle quote pesca, tra cui modificare le tecniche, promuovere le specie meno conosciute e adattare il sistema delle quote alle specie pescate, non solamente al peso. Stando al piano proposto dalla Commissaria, le riforme verranno distribuite su diversi anni, per permettere alle industrie ittiche di adattarsi.
«Abbiamo provato le misure alternative di cui parla Maria Damanaki, e funzionano; potrebbero davvero ridurre drasticamente il problema dell’abbandono», ha commentato Richard Benyon, Ministro della Pesca inglese.

Sebbene mettere al bando questa pratica sia benefico dal punto di vista ambientale e della sicurezza alimentare, è necessario garantire che i pescatori ottengano la giusta ricompensa, senza stimolare pratiche illegali o dannose per l’ecosistema.

John Sauven, direttore esecutivo di Greenpeace in Inghilterra ha sottolineato come sia «cruciale che non si cerchi di risolvere il problema dell’abbandono solo incrementando le quote, ma usando tecniche più sostenibili».

Fonte: The Guardian

Alessia Pautasso
a.pautasso@slowfood.it

mercoledì 9 marzo 2011

da ilfattolimentare.it e greenpeace.it

Tonno in scatola: Greenpeace boccia le marche italiane. Bene Coop, As do Mar e Mareblu


Greenpeace ha bocciato 11 delle 14 aziende che producono tonno in scatola. Lo rivela il rapporto "Tonno in trappola" che l'associazione ambientalista ha redatto sulla base delle risposte a un questionario. Nell'elenco dei marchi che finiscono nella zona rossa del grafico - perché non sono in grado di garantire metodi di pesca rispettosi delle altre specie ittiche  - troviamo: Mare Aperto STAR, Consorcio e Nostromo. Va meglio per Coop, AS do Mar e Mare Blu.
Il tonno in scatola è la conserva ittica più venduta in Italia e nel mondo. Pochi sanno che per pescarlo si utilizzano spesso metodi distruttivi, come i palamiti e le reti a circuizione, che causano la cattura accidentale di tartarughe, squali e di tonni immaturi. Per questi motivi, il tonno pinna gialla, il più consumato in Italia, è sotto pressione e la salvaguardia di alcuni stock desta serie preoccupazioni.
La classifica complessivamente è disastrosa, perché alcune aziende come Tonno Mare Aperto STAR e Consorcio non hanno risposto al questionario, e altre, come Nostromo, hanno fornito poche informazioni sulla provenienza del pesce utilizzato.
Riomare ha dato informazioni precise, ma non adotta precisi criteri di sostenibilità nella scelta del tonno da inscatolare. Il punteggio più alto va a Coop, AS do Mar e Mare Blu che adottano capitolati precisi per l'approvvigionamento sostenibile. AS do Mar è uno dei pochi che utilizza anche il tonnetto striato – specie considerata in buono stato - pescato con metodi sostenibili (lenza e amo).
Cambiare è possibile. Quando i consumatori hanno sollevato il problema delle catture dei delfini, l'industria ha risposto positivamente e ora quasi tutto il tonno in scatola venduto in Italia è" dolphin safe", ma purtroppo non basta. Anche questa volta le catene di supermercati possono trasformare il mercato prima che anche gli stock di tonno tropicale vengano compromessi, come è successo per il tonno rosso del Mediterraneo.
Ecco il bilancio dei 22 stock di tonno sfruttati commercialmente:
* almeno 9 sono classificati come completamente pescati.
* 4 sono considerati sovrasfruttati o completamente esauriti.
* 3 sono classificati come gravemente minacciati.
* 3 sono minacciati.
* 3 sono vulnerabili all'estinzione.

Per questo motivo il 79% dei consumatori europei considera l'impatto ambientale un fattore
importante da considerare quando compra prodotti ittici.
lfattoalimentare@riproduzioneriservata

da ilfattoalimentare.it

Tonno Rio Mare: la tracciabilità del pesce è a portata di click. Ma in etichetta sarebbe più semplice

Ilfattoalimentare.it si è occupato spesso della tracciabilità delle conserve ittiche: nell’articolo “Che razza di tonno è?” Giuseppe De Giovanni, esperto in etichettatura dei prodotti alimentari, auspicava che alla denominazione generica “tonno” venisse affiancata, nell’elenco degli ingredienti, la specifica specie di appartenenza come indicato dal decreto ministeriale 27 marzo 2002 e successive modifiche.
Abbiamo anche raccontato le campagne di Greenpeace sul tema, e in particolare la classifica dei Rompiscatole per distinguere i marchi di tonno prodotti secondo logiche di pesca sostenibile, in base alle dichiarazioni rese dalle stesse aziende sui metodi di cattura adottati e le qualità di tonno usate (anche se non tutte conoscono l’origine del tonno che inscatolano).
Accogliamo perciò con piacere la notizia che da oggi Rio Mare (che dal 1992 fa anche parte del programma Dolphin Safe) offre, sul proprio sito internet, la possibilità di richiedere informazioni sull’origine del pesce utilizzato in qualsiasi confezione prodotta dal 1 gennaio 2010.
In particolare, l’azienda comunica che «Dal momento della pesca a quello della lavorazione e dell’inscatolamento, il tonno non viene mai “perso di vista“: si sa da quale mare proviene e su quale nave ha viaggiato, di quale lotto arrivato nello stabilimento facesse parte, in quale lattina si trovasse. E questa biografia è “codificata” su ogni lattina, in modo che il consumatore ne sia informato.
Al fine di offrire le più ampie garanzie di qualità e sicurezza dei prodotti e il rispetto di istanze di sostenibilità ambientale, Rio Mare, tenendo conto delle raccomandazioni dell’Issf (International Seafood Sustainability Foundation*), rende inoltre accessibili ai consumatori una serie di informazioni aggiuntive sui propri prodotti: il nome della nave che lo ha pescato, la zona geografica e la data in cui la pesca è avvenuta, quale tecnica di pesca sia stata utilizzata, quale sia la qualità di tonno inscatolato».
Per  risalire alla provenienza del prodotto Rio Mare acquistato, basta visitare la pagina http://www.riomare.it/tracciabilita.richieste-online.htm e fare richiesta della “carta d’identità” della scatoletta. Nel giro di 48 ore, il consumatore riceverà tutte le informazioni.
In attesa che la specifica specie di appartenenza del tonno che finisce nel nostro piatto sia leggibile sull’etichetta al momento dell’acquisto, consentendoci una scelta immediatamente consapevole, ci sembra un passo avanti meritevole di segnalazione.

Mariateresa Truncellito
foto: www.riomare.it

*Rio Mare è tra i fondatori di ISSF, International Seafood Sustainability Foundation, Fondazione Internazionale per la Sostenibilità della Pesca, organizzazione non-profit che raggruppa esponenti della comunità scientifica internazionale, aziende leader dell’industria del tonno e associazioni ambientaliste non governative come il WWF. Intraprende iniziative a favore della conservazione e della sostenibilità nel lungo periodo degli stock di tonno, riducendo il by catch (la pesca accidentale delle altre specie marine) e promuovendo la salute dell’ecosistema. (http://www.iss-foundation.org)


da Legambiente.it

Nel mare tra Italia, Spagna e Francia una concentrazione di plastica
più alta dell’isola di spazzatura nell’Oceano Atlantico

Legambiente insieme a Arpa Toscana e Arpa Emilia Romagna presenta il dossier
“L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino”

In un’ora nell’arcipelago toscano raccolti 4 kg di rifiuti, di cui il 73% in materiale plastico

Nel mare tra Italia, Spagna e Francia c’è una concentrazione di plastica che supera quella del cosiddetto “continente spazzatura” presente nell’Oceano Atlantico. È questo uno dei dati del rapporto “L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino” realizzato da Arpa Toscana e dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia Romagna su richiesta di Legambiente. A presentarlo questa mattina in Senato erano presenti Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, Francesco Ferrante, senatore del Partito Democratico e Fabrizio Serena, responsabile area mare di Arpat.
Il rapporto, che sintetizza i principali studi scientifici sull’inquinamento da plastica in mare, potrà essere un utile contributo per il Ministero dell’Ambiente che dovrà rispondere alla richiesta di chiarimenti della Commissione europea sul bando italiano degli shopper. Sono queste, infatti, le motivazioni di carattere ambientale che possono consentire all’Italia di giustificare ogni ipotesi di violazione della Direttiva europea sugli imballaggi.

“L’Italia è un Paese doppiamente esposto al problema della plastica e la dispersione dei sacchetti in mare – ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente -. Lo è sia perché è la prima nazione per consumo di sacchetti di plastica ‘usa e getta’, visto che commercializza il 25% del totale degli shopper in tutta Europa, ma anche perché si affaccia sul mar Mediterraneo, coinvolto come i mari del resto del Pianeta dall’inquinamento da plastica. Per queste ragioni il nostro Paese ha giustamente adottato con la legge finanziaria 2007 il bando sugli shopper non biodegradabili in vigore dal 1 gennaio scorso. La Commissione europea, dunque, non può che salutare con favore questa novità normativa italiana, come ha recentemente fatto il Commissario europeo per gli affari marittimi e la pesca, Maria Damanaki, in occasione dell’incontro con il ministero dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, favorendo la sua esportazione anche negli altri 26 paesi membri”.

Secondo lo studio, la plastica rappresenta il principale rifiuto rinvenuto nei mari poiché costituisce dal 60% all’80% del totale dell’immondizia trovata nelle acque. Un dato che, in alcune aree, raggiunge persino il 90-95% del totale ma anche nei mari italiani arriva a livelli gravissimi.
Basta pensare che secondo il monitoraggio effettuato dall’Arpa Toscana nell’arcipelago toscano in un’ora sono stati prelevati dai pescatori con reti a strascico 4 kg di rifiuti, di cui il 73% costituito da materiale plastico, soprattutto sacchetti. Ma la situazione non è migliore anche nel resto del Mediterraneo dove, in base agli esiti di International Coastal Cleanup, tra il 2002 e il 2006 i sacchetti di plastica sono risultati il quarto rifiuto più abbondante dopo sigarette, mozziconi e bottiglie.
Sono invece complessivamente 500 le tonnellate di rifiuti in plastica che complessivamente galleggiano nel Mediterraneo e secondo l’Istituto francese di ricerca sullo sfruttamento del mare e l’Università belga di Liegi nell’estate 2010 la concentrazione più alta nel Mediterraneo era nel nord del Tirreno e a largo dell’Isola d’Elba con 892.000 frammenti plastici per km2, rispetto ad una media di 115.000. Durante tre campagne oceanografiche effettuate nel 1994-1995-1996 sulla costa francese del Mediterraneo, il 70% dei rifiuti rinvenuti in mare erano sacchetti di plastica.

Negli oceani la situazione è altrettanto grave. È ormai noto il Pacific Plastic Vortex, il grande vortice dell’oceano Pacifico la cui estensione è di qualche milione di chilometri quadrati, a causa di molti milioni di tonnellate di rifiuti galleggianti, soprattutto plastica.
Ma la plastica abbonda anche in altre parti del Pacifico. Nei pressi dei porti principali del Cile l’87% di tutti i rifiuti galleggianti è di plastica, metà dei quali sono sacchetti. In Giappone l’analisi sui dati tra il 2002 e il 2005 ha rivelato che il 76% del totale dei rifiuti erano in plastica, in Corea il dato è stato del 53%. Nel nord Atlantico esiste un vortice di 334mila frammenti di plastica per chilometro quadrato pari a 5 kg/km2.
Le ingenti quantità di plastica in mare, soprattutto della frazione più leggera costituita dai sacchetti, causano gravi danni alla fauna marina. A farne le spese sono soprattutto i mammiferi marini e le tartarughe che scambiano le parti di sacchetti di plastica per meduse - come testimoniano numerosi studi di università canadesi, brasiliane, spagnole e italiane riportati nel rapporto delle due Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.
Secondo l’Unep e l’Agenzia di protezione ambiente svedese, di 115 specie di mam­miferi marini, 49 sono a rischio intrappola­mento o ingestione di rifiuti marini. I cetacei e i mammiferi marini vengono attratti da questi materiali spesso di colore acceso. Elefanti marini, delfini, capodogli, lamanti­ni sono tutti stati trovati ingerire sacchetti di plastica. Nelle tartarughe il sacchetto di plastica, scambiato per una medusa, provoca il blocco del tratto digestivo e il conseguen­te soffocamento. Di 312 specie di uccelli marini, 111 sono note per aver ingerito rifiuti plastici. Tra i 700.000 e un milione di uccelli marini rimangono ogni anno uccisi per soffocamento o intrappola­mento.
“Per tutte queste ragioni l’Italia, che solitamente è in ritardo in merito alle normative ambientali, ha scelto di mettere al bando i sacchetti di plastica, ponendosi addirittura all’avanguardia tra i paesi industrializzati – ha concluso Stefano Ciafani -. Sarebbe davvero incomprensibile, dunque, che la Commissione europea censurasse questa scelta esemplare che ha già ricevuto il plauso da parte degli altri paesi europei”.

lunedì 7 marzo 2011

da ilfattoalimentare.it

Tonno rosso e pregiato? No, colorato con le rape. Sequestrati dai Nas di Genova 26 kg di tranci

I Nas di Genova hanno scoperto una grave truffa messa in atto dalla catena di surgelati Giopesca: tranci di tonno pinna gialla venduti come tonno rosso - specie pregiata e più costosa, adatta per sushi e sashimi - dopo averli "colorati" con succo di rapa. Il Nucleo antisofisticazione e sanità del capoluogo ligure ha sequestato 26 kg di prodotto "taroccato" e in promozione in vendita in un negozio del centro. L' amministratore delegato della società è stato denunciato per violazione delle norme sul commercio alimentare.   Ilfattoalimentare.it si è occupato delle frodi sul tonno rosso in questo articolo: Tutti i colori del tonno: così diventa più rosso, ma non pregiato

mercoledì 2 marzo 2011

da National geographic Italia

Mediterraneo allo stato puro
Quando un ecosistema non è più sottoposto allo stress ambientale causato dall’attività umana, il suo recupero è quasi sempre possibile. Ne sono prova alcune riserve marine del sovrasfruttato Mare Nostrum. Anteprima del reportage su Nat Geo Italia di marzo in edicola
Fotografie di Enric Sala
Mediterraneo allo stato puro
Nelle acque di Ses Rates, uno degli isolotti del Parco nazionale marino e terrestre dell'Arcipelago di Cabrera, nelle Isole Baleari, una tanuta (Spondyliosoma cantharus) nuota su un fondale roccioso in cerca delle alghe e degli invertebrati di cui si nutre.

Da secoli il Mediterraneo è uno dei mari più sfruttati dall’uomo. Ma accanto a paesaggi spogli sopravvivono straordinarie oasi di biodiversità:
il biologo marino Enric Sala e Pierre-Yves Cousteau, figlio del grande Jacques, esplorano le riserve marine a bordo della storica nave oceanografica Alcyone, e lanciano un’iniziativa
per proteggere zone sempre più ampie del Mare nostrum.

Il testo integrale dell'articolo è su National Geographic di marzo in edicola

martedì 1 marzo 2011

DA ILFATTOALIMENTARE.IT

I pesci vegetariani fanno bene alla salute: il progetto Aquamax per mangimi più salubri e sostenibili

Se i pesci fossero vegetariani, sarebbero più sicuri per l’uomo, meno “costosi” per l’ambiente, ma altrettanto ricchi dal punto di vista nutrizionale? Sì, secondo i ricercatori del progetto Aquamax che hanno messo a punto mangimi a base di vegetali per salmoni, trote e orate per sostituire quelli tradizionali fatti con farine e oli animali con risultati molto positivi.
Aquamax ("Sustainable aquafeeds to maximise the health benefits of farmed fish for consumers")  è stato finanziato dall’Ue con 10,5 milioni di euro e coordinato dall'Istituto nazionale norvegese di ricerca sull'alimentazione e gli alimenti marini (Nifes). Il consorzio ha riunito 33 partner provenienti da Belgio, Cina, Estonia, Francia, Germania, Grecia, India, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Ungheria. Allo studio ha partecipato anche l‘Italia, attraverso l’Istituto superiore di sanità (Iss): Ilfattoalimentare.it ne ha parlato con la ricercatrice Francesca Maranghi che ne ha seguito gli aspetti tossicologici.
Il progetto si è strutturato in 4 differenti aree di lavoro: sviluppare dei mangimi più salubri per l’acquacoltura e, nel contempo, salvaguardare le risorse marine; studiare gli effetti per la salute umana del consumo di pesce alimentato con i nuovi mangimi, concentrando l’attenzione sulle donne in gravidanza e i bambini allergici; valutare la sicurezza del pesce allevato (salmonidi, orate, carpe) con i nuovi mangimi (e questa è stata la parte toccata ai tossicologi dell’Iss); comprendere qual è la percezione del pesce d’allevamento da parte dei consumatori e degli scienziati.
Spiega Francesca Maranghi: «La richiesta crescente di pesce da parte dei consumatori, sulla spinta delle campagne nutrizionali a favore del suo valore alimentare a fronte di un contenuto calorico ridotto che ne fa un alimento ideale per tutte le fasce d'età, comprese le più vulnerabili (bambini, anziani) anche nei regimi dimagranti, sta depauperando l’ambiente, perché molta fauna ittica viene utilizzata per produrre i mangimi a base di farine e oli di pesce». Come si legge sul sito di Aquamax, per produrre 1 kg di salmone destinato all’alimentazione occorrono ben 4 kg di pesce pescato.
L’Italia, a dispetto della tradizione marinara e della ricchezza di ricette che prevedono il pesce, è un po’ in ritardo rispetto alla crescita della domanda: il consumo procapite annuo di pesce è molto inferiore rispetto a quello di carne bovina. Non così nel Nord Europa, e non per caso la ricerca è partita dalla Norvegia.
Continua Maranghi: «Il pesce è una fonte di principi nutritivi importanti, come grassi “buoni” omega tre, proteine facilmente assimilabili, vitamine, iodio e selenio, elementi presenti sia in quello di allevamento che in quello pescato: Aquamax non ha notato dfferenze di rilievo. Di contro, però, le carni possono contenere “contaminanti persistenti”: diossina, PCB (policlorobifenili, in passato usati per esempio nei fluidi per condensatori e trasformatori, circuiti idraulici, come additivi vernici, pesticidi, carte copiative, adesivi…) e ritardanti di fiamma (varie sostanze aggiunte, per esempio a tappezzerie, circuiti stampati, video per computer, contenitori di plastica e i cavi, per ridurre la loro infiammabilità). Questi ultimi sono riconosciuti anche come "interferenti endocrini" (IE) perché hanno effetti a carico del sistema ormonale».
Questi contaminanti fanno parte della “sporca dozzina”, le sostanze delle quali la Convenzione di Stoccolma sugli Inquinanti organici persistenti (POPs) - sottoscritta nel 2001 da 92 nazioni - ha ristretto o bandito la produzione, l’uso, il commercio e lo stoccaggio. Nell’agosto 2010, alla sporca dozzina sono stati aggiunti altri 9 composti chimici (pesticidi e ritardanti di fiamma). Sono tra le sostanze chimiche più studiate perché hanno la caratteristica di accumularsi nei tessuti ricchi di lipidi e di restare nell’ambiente per parecchio tempo dall’immissione. I PCB, per esempio, erano banditi già dagli anni Settanta, ma così come accade per il DDT, sono ancora ampiamente presenti nell’ambiente.
Spiega la ricercatrice: «Diossina, PCB e ritardanti di fiamma (due in particolare, esabromociclododecano e PBDE47) sono stati individuati da Aquamax come i più presenti nel pesce, soprattutto nelle specie ad alto contenuto lipidico: quindi salmoni, sgombri, anguille che, tra l’altro, sono predatori all’apice della catena alimentare (e quindi “accumulano” i contaminanti presenti nelle specie ittiche di cui si nutrono, direttamente o sotto forma di mangimi). Su questi si è concentrato lo studio, per arrivare quindi di produrre mangimi privi di contaminanti, e quindi il più sicuri possibile per l’uomo, ultimo anello della catena stessa».
È intuitivo che mettendo a punto un mangime per i pesci di allevamento più ricco di componenti vegetali e meno di quelle animali (farine  e oli di pesce) si riduce anche la presenza di contaminanti. Il rischio, però, è quello di far “dimagrire” troppo salmoni, trote & C. e quindi di modificarne le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. «Per esempio - puntualizza Maranghi - alterando il rapporto tra acidi grassi omega 3 e omega 6 a sfavore dell’uno o dell’altro si potrebbe compromettere l'obiettivo finale che è quello di avere un prodotto alimentare sano ma anche salutare. Per mettere a punto la miscela “giusta” ci sono voluti anni di lavoro, studiando diverse soluzioni: utilizzando diversi tipi di oli vegetali, variazioni delle percentuali di oli di pesce o delle farine nel mangime, così da ridurre il più possibile la parte proteica animale che può essere a rischio di contaminazione e meno sostenibile dal punto di vista ambientale, ma venire anche incontro alle esigenze nutrizionali ed organolettiche del consumatore. E modificare il meno possibile le caratteristiche intrinseche del pesce. Poi, per valutarlo sul campo, i ricercatori di Aquamax hanno puntato l’attenzione su due gruppi vulnerabili di popolazione: bambini e donne in gravidanza».
All’Iss è stato affidato il compito di controllare la sicurezza dei nuovi mangimi “semi-vegetariani”. «Pesci nutriti con mangime tradizionale e altri con quello messo a punto da Aquamax a ridotta presenza di contaminanti sono diventati la componente proteica delle diete di roditori di laboratorio, e poi è stato studiato l’impatto sulla salute dell’animale stesso. Gli animali sono stati selezionati in una fascia di età, quella peripuberale, che è compatibile con l’esposizione alle sostanze tossiche delle fasce più vulnerabili di popolazione umana. In una fase dello studio è stato valutato anche l’effetto protettivo della dieta quando il roditore veniva esposto direttamente ai contaminanti. Abbiamo trovato dati interessanti: i topini trattati con diete tradizionali, in cui il contenuto proteico era principalmente a base di caseina, risultavano più sensibili all’azione di queste sostanze chimiche tossiche. Per esempio, gli ormoni della tiroide risultavano più alterati rispetto ai topini nutriti con dieta a base di “salmone Aquamax”. Abbiamo trovato alterazioni a anche a carico del sistema riproduttivo e immunitario: la dieta, quindi, modula la riposta dell’organismo  ai contaminanti».
Secondo Aquamax, gli ingredienti vegetali possono sostituire il 70% dell'olio di pesce e l'80% delle proteine marine nei mangimi tradizionali senza avere alcun impatto negativo sulla salute del pesce, e permettendo al salmone di mantenere il suo valore come fonte di acidi grassi salutari per gli esseri umani. Le donne in attesa e i bambini che hanno in grembo sono i più a rischio di essere colpiti dagli inquinanti persistenti, ma, nello stesso tempo, sono anche i soggetti che hanno maggior bisogno dei nutrienti del pesce, omega tre in particolare.
Nello studio, 62 donne in gravidanza hanno consumato due volte a settimana il salmone nutrito con vegetali allevato dagli scienziati, dalla 21° settimana di gravidanza fino al parto. Il team ha anche seguito i neonati per i primi sei mesi. Un gruppo di controllo di 62 donne incinte ha consumato la stessa quantità di pesce come avrebbero fatto normalmente, cioè come una piccola parte della propria dieta generale. I risultati sono stati molto incoraggianti: nel primo gruppo i livelli di omega tre erano elevati sia nella madre che nel bambino, anche se i salmoni avevano ricevuto meno omega tre attraverso il mangime che si basava principalmente su ingredienti vegetali.