Valle Sacchetta Sacchettina

Valle Sacchetta Sacchettina
visitata lo scorso 13 novembre

giovedì 25 agosto 2011

http://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/7874/pesca-in-valle-nella-laguna-di-venezia-uomini-e-reti/

giovedì 28 luglio 2011

Tonno e rischio estinzione: la nuova campagna As do Mar punta sul rispetto. Del mare, dei pesci e del suoi dipendenti

Ilfattoalimentare.it si è occupato spesso delle problematiche relative alla pesca sostenibile del tonno, una delle specie ittiche più sfruttate e a rischio. Tra l’altro, segnalando le campagne di Greenpeace che hanno messo in luce le aziende alimentari più corrette (poche, accanto a tante “bocciate” sul piano ecologico) nella produzione della conserva più consumata al mondo. Tra queste As Do Mar, (Gruppo Generale Conserve, fatturato 2010: 123 milioni di euro; fatturato previsto 2011: 146 milioni di euro).leader del segmento premium e tra i primi attori del mercato del tonno.
Proprio in questi mesi l’azienda ha lanciato una innovativa campagna pubblicitaria firmata Tbwa\Italia: al centro del messaggio non ci sono solo le qualità organolettiche dei prodotti, ma il valore etico che Generale Conserve persegue da anni: il rispetto. Per il mare, la materia prima e i propri dipendenti. I protagonisti della campagna, un cartone animato prodotto in 3D, sono due operai - un uomo e una donna - di As do Mar che si fanno portavoce dell'azienda in cui lavorano per raccontarne i valori fondamentali.
Come spiega un comunicato dell’azienda, As do Mar lavora solo tonno adulto (Tonno Skipjack e Tonno Pinna Gialla) - quindi di peso uguale o superiore ai 20 Kg - per assicurare la riproduzione degli esemplari e non utilizza specie in pericolo, come il tonno rosso, né acquista tonno proveniente da riserve marine  o da zone destinate a diventarlo. Inoltre, la pesca avviene solo con imbarcazioni legalmente registrate e iscritte nel registro sanitario Europeo, che utilizzano metodi selettivi, cioè che riducono il più possibile le prese accidentali di delfini, squali e altre specie protette.
Questa attenzione è valsa ai prodotti la certificazione di “Friend of The Sea”, l’organizzazione no-profit internazionale che promuove gli alimenti da pesca e acquacultura sostenibile. Friend of The Sea certifica solo prodotti provenienti da zone di mare non sovrasfruttate, la cui pesca prevede metodi selettivi e non dannosi per il fondo del mare.
Oltre a questo, nello stabilimento di Olbia - che occupa circa 250 persone, quasi tutte donne -  As do Mar lavora solo tonni interi. L’azienda ha ottenuto anche la certificazione SA 8000, perchè Generale Conserve risponde a specifici requisiti etico sociali e si impegna a garantire la tutela delle condizioni di lavoro per tutti coloro che operano all'interno del ciclo produttivo.
Un ultima nota: lo stabilimento è alimentato al 100% da energia verde: un buon esempio di come si può coniugare qualità, impiego e rispetto per l'ambiente in Italia.

 Mariateresa Truncellito

sabato 23 luglio 2011

centrale Porto Tolle: no al carbone!



Ciao,

Luca Zaia, il governatore leghista della Regione Veneto, vuole fare un regalo a Enel: cambiare la legge di un parco già fragilissimo – quello del Delta del Po – per consentire la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. C'è poco tempo per fermarlo: in Consiglio regionale stanno discutendo la legge proprio in queste ore.

L'inquinamento atmosferico prodotto dalla centrale a carbone impatterebbe su un'area di centinaia di chilometri, rendendo l'aria della "Padania" ancor più irrespirabile. 
Questa centrale produrrebbe:
  • Più di 10 milioni di tonnellate l'anno di CO2: oltre 4 volte le emissioni annuali di una città come Milano
  • Circa 2.800 tonnellate l'anno di ossidi di azoto, equivalenti alle emissioni annue di 3,5 milioni di auto
  • Circa 3.700 tonnellate di ossidi di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni annue dell'intero settore trasporti in Italia

Il progetto di riconversione a carbone è già stato bocciato dal Consiglio di Stato: vogliono cambiare la legge per aggirare la sentenza e favorire Enel.

L'occupazione e lo sviluppo industriale non c'entrano nulla. Davanti alla vecchia centrale c'è il terminal gasifero offshore più grande del mondo: convertire la centrale a gas costerebbe la metà, occuperebbe poco meno e inquinerebbe molto meno. Se poi Enel spendesse quei soldi in energia pulita, occuperebbe fino a 17 volte di più.



Grazie!
 



Andrea Boraschi
Responsabile campagna Energia e Clima 
Greenpeace Italia

lunedì 18 luglio 2011

Solo pesce italiano, Sloweb


08/07/2011 - Sloweb
«Un sistema semplice e immediato per riconoscere il prodotto nazionale, meglio di complicate etichette e di cartellini sulle zone fao di pesca», è il marchio “solo pesce italiano”.
Con questro nuovo strumento Agci Agrital si propone di offrire ai propri pescatori l’opportunità di vendere i propri prodotti direttamente al dettaglio o alla Gdo, usufruendo anche di un marchio collettivo e aumentando la possibilità di vendita a prezzi remunerativi, in un mercato sempre più dominato dalle importazioni.

Il marchio rientra nel progetto “concentrazione e miglioramento della commercializzazione ittica”, finanziato dalla direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali. «Il marchio “solo pesce italiano” – ha detto il prediente di Agci Agrital, Giampaolo Buonfiglio - è un importante tassello di iniziative che la nostra associazione sta sviluppando in tema di distribuzione e commercializzazione, quale unico ambito in cui le nostre cooperative possono oggi recuperare valore aggiunto, diversificare le loro attività e recuperare un futuro sempre più minacciato dalla progressiva perdita di redditività dell’attività di pesca, stretta tra aumenti dei costi e stagnazione dei prezzi alla prima vendita. Grazie alla riconoscibilità del prodotto italiano nelle pescherie dell’agenzia ittica - pescherie italiane -, pensiamo che i consumatori possano fare acquisti più consapevoli e premiare il lavoro delle nostre cooperative, aiutandole anche ad uscire dalla difficile situazione che recenti trasmissioni televisive hanno dipinto in modo impietoso» ha concluso Buonfiglio.

sabato 16 luglio 2011

La nuova politica europea sulla pesca da ilfattoquotidiano.it

Insufficienti. Così sono stati bollati i nuovi indirizzi comunitari sulle attività ittiche varati dalla commissione. Secondo Wwf, Greepeace e Ocean2012, il pacchetto di misure non risolve il problema dell'overfishing e dell'illegalità diffusa nei mari dell'Ue
Era attesa da anni per cercare di dare una risposta alle sempre più impellenti sfide ambientali e sociali. Ma la nuova politica Ue sulla pesca è stata giudicata insufficiente dalle associazioni ambientaliste di tutta Europa. Ed effettivamente la tragedia che ogni giorno si compie nei mari europei richiede ben altra risposta.

Resta sostanzialmente irrisolto, secondo gli ambientalisti, il problema del cosiddetto “overfishing”, la pesca in eccesso sia alla domanda del mercato che alle quote concesse dall’attuale politica di settore (PCP). In parole povere, i pescherecci pescano una quantità di pesce eccessiva, comprese specie ittiche non vendibili, e non potendo attraccare con questo carico, pena multe molto salate, preferiscono gettare il surplus di pescato in mare. La maggior parte di questi pesci o è già morto o difficilmente riuscirà a sopravvivere. Secondo stime della Commissione, si parla del 62 per cento del pescato nel Mare del Nord e di ben l’82 per cento nel Mediterraneo. Il risultato è che il 23 per cento (un pesce su cinque) di tutto il pescato viene rigettato in mare. E’ per questo che da anni le associazioni come Ocean2012 lottano per spingere Bruxelles a “ridurre la pressione della pesca per ricostituire gli stock ittici europei”.

Sì perché a stabilire le linee guida di tutta la pesca comunitaria è proprio Bruxelles, che non solo stabilisce le quote di quanto si può pescare, ma distribuisce anche finanziamenti ai pescatori per sviluppare la propria attività in modo “sostenibile”. E’ il caso dei milioni piovuti soprattutto nei Paesi del sud Europa (Italia, Spagna e Francia), dove operano soprattutto pescherecci “artigianali”, ovvero inferiori a 12 metri (il 77 per cento della flotta europea). Il problema è che, come spesso succede, buona parte di questi fondi non vengono utilizzati correttamente. In una lettera congiunta al presidente della Commissione Barroso, associazioni ambientaliste come WWF, Greenpeace, Pew e Ocean2012 hanno denunciato che circa 26 milioni di euro tra il 1994 e il 2010 non hanno fatto altro che finanziare la pesca illegale. Attività di frodo che tramite l’utilizzo illegale di reti derivanti, ovvero spadare (al bando Onu dal 2002) e ferrettare, catturano specie protette rovinando irrimediabilmente i fondali marini. Centinaia di pescherecci, molti battenti bandiera italiana, continuano a pescare indisturbati, tant’è che si stima che il 50 per cento della pesca nel Mediterraneo sia illegale (con un giro d’affari di 10 miliardi l’anno in tutta l’Ue). E il colmo è che sono proprio questi pescherecci ad usufruire ampiamente dei sussidi comunitari, scandalo che ha destato l’intervento della Corte di Giustizia europea che ha condannato l’Italia alla restituzione di 7,7 milioni di euro d’aiuti.
Adesso la Commissione si propone di “sfruttare gli stock ittici in modo sostenibile entro il 2015” con una serie di misure che vanno dalla commercializzazione delle quote di pescato alla decentralizzazione delle misure da attuare per raggiungere gli obiettivi stabiliti a Bruxelles. Ma secondo le associazioni ambientaliste, il piano presentato con soddisfazione dalla commissaria Ue Maria Damanaki manca di misure concrete per raggiungere questi obiettivi. Innanzitutto andrebbe ridotta la flotta complessiva dei pescherecci, circa il triplo di quella sostenibile. Poi una maggiore regolamentazione della pesca artigianale, maggioritaria ad esempio nel Mediterraneo. Poi ancora i dubbi relativi alla commercializzazione delle quote di pescato. Servirà davvero ad evitare il rigetto dei pesci in mare? Infine la pesca extraeuropea. Circa il 60 per cento dei prodotti ittici che finiscono nel mercato Ue viene pescato in acque extraeuropee nelle quali finora ha regnato la legge del far west.

“La proposta della Commissione è insufficiente per rispondere a queste sfide”, ha dichiarato Uta Bellion, direttrice Ocean2012. “Purtroppo i ministri della pesca nazionali hanno fallito nell’amministrare queste risorse fin da quando la politica della pesca comune è stata creata più di 30 anni fa. Immediati e spicci interessi economici hanno sempre prevalso”.

La proposta della Commissione dovrà adesso passare al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio Ue, dove sono presumibili sgambetti dei Paesi maggiormente interessati agli aiuti di settore, come Italia e Spagna. Qualche mese fa il giornalista inglese Hugh Fearnley-Whittingstall ha lanciato una petizione on-line per chiedere a Bruxelles azioni concrete per una pesca più sostenibile. L’obiettivo era raggiungere le 250mila firme entro l’estate. Ad oggi sono già oltre 700mila. Il milione di firme necessarie per la nuova legge d’iniziativa popolare è ormai dietro l’angolo.

venerdì 15 luglio 2011

In concomitanza con la proposta di riforma della Politica Comunitaria della Pesca, proposta dalla Commissione Europea, il WWF indice una petizione indirizzata al Presidente e ai Membri del Parlamento Europeo per chiedere una riforma radicale della politica della pesca europea. La pesca eccessiva ha consumato gli stock ittici in Europa e nel mondo. Di pesce, ormai ce n'e' poco. E sono i pescatori, oltre a noi, a dirlo!
Nelle acque europee circa il 70% degli stock ittici sono sovrasfruttati. Si pescano più pesci di quanti ne nascono. Specie simbolo come il tonno rosso del Mediterraneo o il baccalà dell'Atlantico sono stati enormemente sfruttati per decenni. E 'tempo di cambiare e abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti voi.
Firma la petizione e invita i tuoi amici a fare lo stesso, firma ora >>

Un mare senza pesci è un mare morto, Wwf Italia

mercoledì 13 luglio 2011

Allarme tonno: pericolo estinzione per sette specie, le stime realizate dall'IUCN

Per continuare a gustare il tonno nei prossimi anni bisogna momentaneamente smettere di mangiarlo,  o quanto meno consumarlo con molta moderazione. Il problema è serio perché più della metà delle specie è ormai prossima all'estinzione ed è ormai indispensabile preservare gli esemplari più a rischio e regolamentare in maniera severa il commercio mondiale.
L'allarme arriva dalle pagine di Science, che ha pubblicato l'ultimo rapporto della International Union for Conservation of Nature (IUCN), contenente notizie davvero allarmanti sulla situazione degli sgombridi e non solo.
Tonni, sgombri, marlin, pesci spada e altri pesci molto amati dai consumatori di tutto il mondo sono sull'orlo dell'abisso: delle 61 specie censite, sette sono entrare nella red list dell'IUCN, l’elenco che segnala le specie più vicine all'estinzione, con diversi livelli di gravità.
La situazione è particolarmente critica per quanto riguarda i tonni, visto che cinque delle otto specie normalmente presenti sulle tavole di molti paesi sono state inserite nella red list. In particolare, il Thunnus maccoyi, rosso, classificato come "seriamente minacciato", il thynnus, "in pericolo", l'obesus, "vulnerabile", l'albacares (pinnagialla), "molto vicino a essere seriamente minacciato", così come l'albacore. Non stanno meglio i marlin: quello blu (Makaira nigricans) e quello bianco (Kajikia albida) sono "vulnerabili", mentre quello a strisce (Kajira audax) è "molto vicino a essere seriamente minacciato".
In realtà, sottolineano gli autori, la maggior parte delle specie pescate per il consumo umano è in condizioni critiche, perché i cicli riproduttivi sono lunghi e non permettono ai nuovi nati di rimpiazzare adeguatamente gli esemplari catturati. Non solo: gli sgombridi sono ai vertici della catena alimentare marina, e il loro impoverimento ha ricadute negative su tutto l'ecosistema, e quindi anche su molte altre specie apprezzate dall’uomo.
Spiega Kent Carpenter, capo della IUCN'marine Bodiversity Unit e docente all'Università Old Dominion: "I tonni rossi dell'Atlantico occidentale, in calo costante già dagli anni settanta, potrebbero scomparire molto presto, se non si interromperà subito e in maniera totale la pesca, e lo stesso vale per altre specie".
Provvedimenti così drastici - ammette lo stesso Carpenter - potrebbero far lievitare la pesca illegale, ma tale rischio potrebbe essere limitato se, insieme al divieto totale di pesca, si adottassero altri provvedimenti volti a sostenere i pescatori e a soddisfare i consumatori, nell'ottica di un programma globale di tutela e ripopolamento.
Agnese Codignola
da ilfattoalimentare.it

Fermo Pesca, la Manovra stanzia 22 milioni di euro a sostegno delle imprese ittiche

Tra le disposizioni "urgenti per la stabilizzazione finanziaria" del decreto-legge 6l luglio n. 98, pubblicato il 7 luglio sulla Gazzetta ufficiale n.155, anche il sostegno alle imprese di pesca in seguito alle disposizioni di fermo pesca (COMMI 1-3, ART. 35) di 45 giorni, istituito per "fronteggiare lo stato di eccezionale sovra-sfruttamento delle risorse ittiche" e per "far fronte al rialzo dei costi energetici e di produzione che hanno determinato ripercussioni negative nei confronti del reddito degli operatori del settore". Un fermo indispensabile per fronteggiare una delle più grave crisi che coinvolge il pesce bianco e azzurro dei nostri mari e consentire il ripopolamento ittico. Il decreto rimanda MIPAAF per le modalità di concessione alle imprese di pesca della compensazione e stanzia 22 milioni di euro per l'anno 2011. La copertura è assicurata per 13 milioni di euro attraverso le assegnazioni finanziarie dell'asse prioritario 1 - misure per l 'adeguamento della flotta comunitaria del regolamento ce n. 1198/2006 e, per 9 milioni di euro, dal fondo rotativo di cui all'art. 5 della legge 183/1987 (fondo per l'attuazione delle politiche comunitarie).
Il fermo pesca e le relative compensazioni sono, per AIAB, strategie che rispondono a stati di crisi in modo temporaneo e poco efficace.  Una pianificazione del sistema della pesca secondo un'azione partecipata ed integrata fra pesca e  sistemi di acquacoltura, invece, darebbe una risposta più efficace e orientata verso un sistema di produzione veramente sostenibile. Proprio per rispondere in modo efficace alle crisi del settore ittico e per stimolare uno sviluppo sostenibile delle aree costiere, AIAB promuove sistemi di acquacoltura, in particolare lungo le coste. Tali sistemi, infatti, potrebbero diventare sistemi alternativi di pesca nei momenti di fermo obbligatorio della pesca in mare per consentire il ripopolamento della popolazione ittica.

venerdì 1 luglio 2011

Pesce catturato e rigettato in mare: una campagna europea per porre fine allo spreco.

Raccolta firme di Fishfight.net

I promotori di “Fishfight”  hanno esposto un relitto di peschereccio davanti al Parlamento europeo a Bruxelles per denunciare il dramma dei pesci catturati dai pescherecci del Nord Europa e rigettati in acqua, come fossero alghe o scarti. Un contatore sulla chiglia dello scafo aggiorna il numero dellepersone che aderiscono alla raccolta di firme giunte a quota 700.000. Di che si tratta?
La storia dei pesci scartati post-mortem non è nuova, e i tempi sono maturi per mettere fine a questo scempio. La stessa Commissaria europea Maria Damanaki aveva indicato il tema degli scarti come un elemento chiave nella riforma della Politica europea della pesca, in una riunione a ciò appositamente dedicata lo scorso il 1° marzo. Già nel 2004 la FAO aveva stimato che almeno 7,3 milioni di tonnellate di pesce, vale a dire l’8% del totale delle catture, venissero scartate. Ma in Europa i dati sono assai peggiori e raggiungono il 50-70%, rispettivamente, nei casi delle “whitefish fisheries” e delle “flatfish fisheries”. Attività di pesca sul fondo, finalizzate alla cattura di esemplari caratteristici dell’Atlantico (come i merluzzi di varie specie, naselli, etc.) o di specie da sabbia (platesse, sogliole, rombi, halibut).
Secondo gli organizzatori si tratta di uno spreco insensato, che provoca  grave danno all’eco-sistema marino e alla bio-diversità. I nomi dei sostenitori della campagna saranno aggiunti a una lettera (vedi documento allegato) da inviare al Commissario Maria Damanaki, ai membri del gruppo di riforma della Politica Comune della Pesca (“Common Fisheries Policy Reform Group”) e a tutti i membri del Parlamento Europeo.
Per aderire basta inserire il proprio nome, cognome ed e-mail sul sito  http://www.fishfight.it. Perché farlo? Perché in assenza di regole a tutela di chi e di ciò che ci circonda, tutti tendono a limitare l’attenzione all’interesse personale di breve periodo. Ma il pensiero a un bene collettivo, quanto più è condiviso tanto più è capace di favorire alla vita nel lungo termine. Lo abbiamo visto per il nucleare, lo vedremo per i pescetti incagliati nelle reti, speriamo di vederlo prima che sia troppo tardi anche per il “land-grabbing”.
La soluzione è quella di proibire lo scarto dei pesci di minor interesse economico, sia pure con un approccio graduale. Anche i consumatori dovranno fare la loro parte, dedicando maggiore attenzione alle specie meno note e perciò anche più economiche, altrettanto saporite e salutari. da ilfattoalimentare.it

mercoledì 22 giugno 2011

ESTINZIONE ITTICA di Luca Mercalli

L'allarme lanciato dagli scienziati di State of Ocean. Le specie marine vanno verso un'estinzione di massa. E' l'ennesima spia rossa che ci segnala i malesseri del pianeta

ESTINZIONE ITTICA
Luca Mercalli
Nei giorni scorsi l'International program of the state of the ocean ha reso pubblico un rapportoche denuncia l'impoverimento ittico degli oceani. Un allarme lanciato già qualche anno fa. Abbiamo sentito Luca Mercalli, climatologo e autore di Prepariamoci. 

Si tratta di uno dei tanti allarmi che periodicamente vengono diffusi ma non è niente di nuovo, nel senso che ormai da anni si parla dello stato degli oceani, che è un indicatore importante dei disequilibri che stiamo introducendo sia per il sovrasfruttamento delle risorse ittiche sia per l'inquinamento, sia per i cambiamenti climatici. In questo caso le precisazioni sono state diramate riguardo all'acidificazione degli oceani che avviene a causa dell'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera, la stessa causa che provoca l'incremento dell'effetto serra. Siccome una parte di questa anidride carbonica si discioglie nelle acque oceaniche e ne aumenta l'acidità, questo mette a rischio una gran parte di organismi oceanici, per esempio il microplanton, tutti quegli organismi che hanno degli scheletri minerali. Siccome si studiano anche le estinzioni del passato, si è visto che una delle grandi cause delle estinzioni di massa del passato geologico è stata proprio attribuibile all'aumento dell'acidità delle acque oceaniche, quindi noi stiamo riproducendo le condizioni ora per l'estinzione. 
Anche i tassi di estinzione che vengono oggi misurati rispetto a quelli remoti, a quelli storici che sono stati studiati attraverso i fossili, ci danno un'indicazione molto drammatica perché il tasso di estinzione di specie oggi è da 10 a 100 volte se non anche di più superiore a quello registrato nei periodi storici. Quindi direi si aggiungono tante altre spie rosse che si stanno accendendo in tanti siti della nostra terra, nei confronti del nostro uso dell'ambiente e delle risorse planetarie. 

Ma cos'è lo spopolamento ittico?

Spopolamento ittico vuole dire semplicemente che oggi si pesca con i muscoli del gasolio e non più con quelli dell'uomo. Una volta quando si pescava, il limite era dato dalle capacità proprio fisiche delle imbarcazioni in genere a vela e della forza fisica delle persone. Oggi, invece, un grande peschereccio tecnologico con un paio di persone permette di percorrere enormi superfici oceaniche con reti gigantesche, ma il lavoro lo fanno le macchine, non lo fanno più gli uomini. Basta premere pochi pulsanti e tutta l'attività viene fatta in maniera automatizzata. Questo significa che la depredazione dei banchi ittici è andata crescendo negli ultimi decenni in modo esponenziale e vi sono alcune zone oceaniche che sono state così battute dalla pesca industriale che i banchi di pesce pregiato non hanno più avuto la possibilità di riprodursi e quindi ne vediamo drasticamente calare la loro presenza. Questo ha un riflesso sia sul sistema, anche se è il riflesso più difficile da quantificare perché la complessità degli oceani la si sta studiando in questi anni e si conosce ancora poco, e dall'altro lato ha un riflesso immediato da un punto di vista economico e alimentare, semplicemente c'è meno pesce da mangiare! 

L'unico responsabile di tutto questo è l'uomo. Cosa possiamo fare?

Questa è una bella domanda perché direi che ciò che dobbiamo fare è renderci conto che viviamo in un pianeta dalle risorse limitate e quando si sta in un luogo dalle risorse limitate bisogna imparare a usarlo in modo intelligente. Non è che abbia un approccio protezionista a oltranza per dire: dobbiamo lasciare la natura così com'è e stare a guardare, è ovvio che l'uomo è una specie delle tante che c'è sul pianeta che per vivere, prosperare e fare la propria attività ha bisogno di risorse e le preleva dall'ambiente, incluso quello che prendiamo dal mare, i pesci per nutrirci. L'abbiamo sempre fatto nella nostra lunga evoluzione. Però il problema è che non bisogna uscire da certi limiti, se si superano i limiti inizia una catena di conseguenze che poi si ritorcono contro di noi, quindi oggi bisogna prendere coscienza che la terra ha dei limiti, inclusa l'espansione della specie umana. Oggi siamo 7 miliardi, forse c'è da prendere in mano anche questo problema se abbia un senso continuare in questa folle espansione del numero degli abitanti sul pianeta e da questo punto di vista una volta che si è preso coscienza dei limiti si può vivere bene e in armonia all'interno di questi vincoli. Però bisogna prendere delle decisioni importanti a livello planetario, devono essere accordi internazionali e deve essere soprattutto una visione di futuro condivisa. Se non lo faremo, tutti questi problemi piano, piano interagiranno negativamente con la nostra qualità della vita e faremo le spese in vari ambiti, non solo con il pesce, le foreste sono un altro problema molto simile, l'energia, lo sfruttamento delle risorse energetiche, sappiamo tutti che il petrolio e il carbone non sono infiniti, il gas pure, dall'altro lato c'è il problema del cambiamento climatico come conseguenza dell'inquinamento derivante dalla combustione dei materiali fossili. I minerali non sono infiniti, per quanto si riciclino se ne perde sempre una parte e alcuni non sono riciclabili, insomma di fatto ci accorgiamo che la spia rossa della riserva comincia a lampeggiare insistentemente! 
Ora di tutti questi problemi purtroppo si continua a parlare senza che vengano prese delle azioni consapevoli e efficaci. Circa un mese fa 18 premi Nobel si sono riuniti a Stoccolma e hanno scritto un appello all'umanità richiamando la necessità di avere un'attività economica rispettosa dei limiti ambientali, ricorrere all'efficienza energetica, l'uso delle energie rinnovabili, si chiama questo documento "Il Memorandum di Stoccolma" (scarica il Pdf)". Ma nessuno ne ha parlato sui giornali. da cadoinpiedi.it

martedì 21 giugno 2011

Il progetto Fish Scale per riscoprire le specie ittiche dimenticate

All’Antica Biblioteca Valle di Roma il “martedì pesce… ritrovato”:
cene con menu sostenibili per la salvaguardia degli ecosistemi marini

A partire da oggi, tutti i martedì al Ristorante Antica Biblioteca Valle di Roma saranno dedicati alle specie ittiche dimenticate con menu sostenibili, ideati nel rispetto degli ecosistemi marini. Un evento gastronomico, realizzato grazie al progetto Fish Scale, che si ripeterà ogni settimana per incrementare il consumo di pesci poco noti, spesso dimenticati dal mercato, ma non per questo di minor gusto.

A fronte di 700 specie marine commestibili sui banchi delle pescherie e sulle tavole delle case arrivano, infatti, solo una trentina di varietà ittiche, ma ciò non significa che altre specie non vengano pescate. Al contrario, molti di questi pesci risultano comunemente catalogati dagli operatori come "catture accessorie" da rigettare in mare. Così mentre il 35% delle risorse ittiche è attualmente sovra pescato, a causa di mode culturali o alimentari ormai consolidate, noi consumiamo solo il 10% delle specie ittiche esistenti. Un quarto del pesce pescato, circa 27 milioni di tonnellate, quindi, viene preso accidentalmente e rigettato in mare ormai morto, semplicemente perché sconosciuto al mercato dei consumatori e quindi privo di valore commerciale.

E’ per questo che il progetto Fish Scale, realizzato dall’Acquario di Genova, Legambiente, Lega Pesca, ACGI Agrital, Softeco Sismat e Coop Liguria, con il supporto della Commissione europea attraverso lo Strumento finanziario Life + ed il sostegno della Regione Liguria, ha deciso di attivare un ciclo virtuoso che favorisca la distribuzione sul mercato delle specie ittiche minori, ne promuova la domanda e il valore commerciale, rendendone remunerativa la cattura per i pescatori e la commercializzazione per gli operatori del settore. Un’opera di sensibilizzazione, quella intrapresa da Fish Scale, che si concretizzerà in varie attività, tra cui i menu sostenibili del Ristorante Antica Biblioteca Valle di Roma, dove uno chef ogni martedì sera proporrà e spiegherà le ricette a base di specie ittiche minori.

“Attraverso il progetto Fish Scale - dichiara Sebastiano Venneri, Vice Presidente e Responsabile Mare di Legambiente - vogliamo favorire l’aumento delle quantità disponibili per la piccola e grande distribuzione e la ristorazione di queste specie ittiche dimenticate, contribuendo così a ridurre gli scarti di pesca, diminuire lo sfruttamento delle specie oggi più consumate e tutelare la biodiversità marina”.
Per Ettore Ianì, Presidente di Lega Pesca “ E’ fondamentale sensibilizzare non solo i produttori ma anche e soprattutto i consumatori e la piccola e grande distribuzione al consumo delle specie meno conosciute, che abbondano nei nostri mari e che non hanno nulla da invidiare al pesce cosiddetto pregiato in termini di sapore, gusto e proprietà nutrizionali. Specie fortemente legate ai territori, la cui valorizzazione può dare un contributo alle economie costiere,  soprattutto se si riuscirà a fare rete con il turismo, l’enogastronomia, la ristorazione e gli altri attori dello sviluppo locale”
Per  Ivo Bitetti – direttore dell’Antica Biblioteca Valle “Queste specie, un tempo molto usate lungo le coste italiane, sono ormai poco note soprattutto a causa dell’omologazione dei gusti. Il mercato predilige, infatti, pesci dal sapore poco marcato, facilissimi da pulire e da preparare, ma attraverso ricette della tradizione, anche rivisitate, è possibile scoprire sapori unici con poca spesa”.

Per informazioni: http://www.fishscale.eu/


venerdì 17 giugno 2011

Ue richiama l’Italia: “Non applicate direttive

 La Commissione europea ha inviato diverse lettere di messa in mora, un atto che precede il deferimento alla Corte europea di Giustizia. L'Italia avrebbe dovuto tradurre da mesi, e in un caso da anni, alcune normative comunitarie in leggi nazionali. Ma non si è mai adeguata
L’Italia non ascolta le indicazioni di Bruxelles e la Commissione europea la richiama. Diverse lettere formali di messa in mora – che precedono il deferimento alla Corte europea di Giustizia – sono state inviate dal commissario Ue Viviane Reding per la mancata applicazione di normative comunitarie riguardo all’inquinamento marino e al trattamento degli autoveicoli destinati alla rottamazione.

Prima nel 2008 e poi l’anno dopo, la Ue ha stabilito che certi tipi di reati ambientali “siano puniti in modo efficace, proporzionato e dissuasivo”. Ma l’Italia, lamentano dalla Commissione, non fa abbastanza al riguardo. L’organismo europeo aveva previsto in una prima direttiva sanzioni penali per diversi crimini contro l’ambeinte, tra cui l’inquinamento dei mari, il trasporto marittimo di rifiuti illegali o il traffico di specie a rischio. Aggiungendo nel 2009 severe sanzioni contro lo scarico illegale di sostanze inquinanti da parte di imbarcazioni. La scadenza per gli Stati membri per tradurre le direttive in leggi nazionali scadeva a fine 2010. Ma l’Italia, insieme ad altri Paesi Ue, non le ha mai recepite.

Allo stesso modo, la Ue ha richiamato il Paese per il mancato adeguamento alle norme europee che fissano precise disposizioni in materia di raccolta, trattamento e riciclaggio degli autoveicoli destinati alla rottamazione. Soprattutto per quanto riguarda i loro componenti, anche quando si tratta di riparazioni: secondo la Commissione, al momento per la legislazione italiana chi effettua riparazioni è solo invitato a “consegnare” i pezzi sostituiti e non obbligato a farlo. Nel 2007, la Corte di giustizia del Lussemburgo aveva già emesso una sentenza ordinando alle autorità romane di mettersi in regola. Ma niente è cambiato e adesso è arrivato il richiamo della Commissione.

“Nonostante l’introduzione di alcuni interventi legislativi – si osserva in una nota inviata da Bruxelles – secondo la Commissione la situazione in Italia resta non conforme al diritto Ue”. Così come altri Stati ritardatari. Che adesso hanno due mesi di tempo per adeguarsi alle nuove misure. In caso contrario, la Ue chiederà alle autorità – tra cui quelle italiane – di risponderne davanti ai giudici della Corte di Giustizia europea.  da ilfattoquotidiano.it

mercoledì 15 giugno 2011

Valli vente, tesoro da riscoprire

IL PESCE DI VALLE E LO STRAORDINARIO AMBIENTE IN CUI VIENE ALLEVATO

Il pesce di valle e lo straordinario ambiente in cui viene allevato
Una campagna informativa per valorizzare i prodotti e far conoscere le preziose risorse del territorio con iniziative gastronomiche, turistiche e d’intrattenimento
09-06-2011 | Gli antichi romani le chiamavano “piscinae neptuniae”, mentre il termine “valle” compare per la prima volta, con la dizione clausura valium, in un documento nel XV secolo. Stiamo parlando delle “valli da pesca” un ampio territorio della Laguna di Venezia dedicato all’allevamento del pesce (orate, cefali, branzini, anguille, ecc.), ma anche all’attività venatoria e all’osservazione naturalistica. Le citazioni storiche sono testimonianza di una “arte” (prima ancora che una tecnica) di allevamento del pesce che affonda le sue origini nei secoli ed è valore unico delle nostre lagune. Un valore di storia e di natura, basti pensare alla ricchezza di uccelli che vi sostano nelle migrazioni o vi nidificano. Ma anche e soprattutto un valore di qualità delle produzioni: è accertato ad esempio che il pesce di valle ha un contenuto in grassi decisamente più basso di quello proveniente da altri allevamenti. Se questa arte, se questa tradizione, se questa capacità di produrre pesce in maniera estensiva (cioè con il minimo impatto ambientale) potrà continuare nel tempo, va cercata una prospettiva che possa far superare la crisi di cui oggi soffre; un pericolo per l’ambiente e per l’economia e la vita delle persone che vi lavorano. La concorrenza con il pesce allevato con metodi intensivi in altri Paesi mediterranei (Grecia, Turchia e Spagna) e la predazione di uccelli come il Cormorano sono due delle maggiori minacce. Come invertire la tendenza ? Una parola, pur non risolutiva, è “valorizzazione” che vuol dire far conoscere le qualità del pesce di valle ai rivenditori e ai ristoratori creando tra produttori e consumatori quella che oggi si chiama “filiera corta”, l’unico modo per dare valore a un prodotto di nicchia. Per questo è importante far conoscere l’ambiente unico in cui il pesce viene allevato, puntando sull’interesse che i cittadini oggi hanno nel visitare il territorio rurale in forme di turismo naturalistico, gastronomico, o come si dice oggi “slow”. In questa direzione si muove la “Campagna di promozione della vallicoltura e della qualità dei prodotti delle valli venete” che Veneto Agricoltura sta conducendo con il contributo del Fondo Europeo per la Pesca. Il progetto si svolge nel territorio di Campagna Lupia (Ve), il comune del veneziano con la maggior parte del territorio interessato dalle aree lagunari. Diverse le iniziative in programma tra cui uno sportello informativo “Punto Laguna” nella frazione di Lova aperto tutte le domeniche fino al 17 luglio. Da qui l’escursionista e il turista potrà avere informazioni sul territorio attraverso semplici pubblicazioni e video e partecipare a iniziative organizzate per l’occasione: escursioni nelle valli in bicicletta, in barca o a piedi, visite all’oasi naturalistica del Wwf “Valle Averto”, degustazioni gastronomiche a base di pesce di valle, serate culturali, ecc. Sono in programma anche serate dedicate alla presentazione dell’ambiente e del pesce di valle a particolari categorie professionali (ristoratori, dietisti, responsabili acquisti, tecnologi alimentari, ecc.) che possono essere volano di una riscoperta del pesce di valle. Maggiori informazioni: www.vallidapesca.turismoruraleveneto.it

venerdì 3 giugno 2011

Delfini e tonni in Adriatico, promosso il mare Veneto

Esami Arpav confermano qualita' acque in vista stagione estiva

02 giugno, 17:18
Da piazza dell'Unita' d'Italia si guarda l'Adriatico Da piazza dell'Unita' d'Italia si guarda l'Adriatico
(ANSA) - VENEZIA, 2 GIU - Le spiagge venete hanno superato a pieni voti l'esame di qualita' e si apprestano ad affrontare la stagione estiva con grandi auspici.

Per gli ospiti dei 150 chilometri di spiagge venete si annunciano, infatti, vacanze a mare blu al 100 per cento. Acqua splendida, insomma, rilevata in tutti i 93 punti di controllo sul mare Adriatico analizzati dall'Arpav in collaborazione con le Capitanerie di Porto - Guardia Costiera della Direzione Marittima del Veneto.

L'Arpav ha inoltre confermato bandiere blu per il lago di Santa Croce e per quello del Mis per la provincia di Belluno e per il lago di Lago e per quello di Santa Maria nella provincia di Treviso.

''Risultati ottimi, che si aggiungono a quelli gia' riscontrati una settimana fa sul Lago di Garda - ha sottolineato l'assessore al Turismo del Veneto Marino Finozzi - e che aprono la prospettiva di un superamento quest'anno del record storico di presenze turistiche, quasi 62 milioni, registrato prima della crisi nella nostra regione, la piu' sviluppata per quanto riguarda l'economia e l'offerta di ospitalita'''.

''Se poi qualcuno fosse scettico sulle bandiere blu - ha aggiunto Finozzi - penso si debba almeno credere ai delfini, dei quali e' stata rilevata la presenza nelle acque adriatiche non lontane dalla costa veneta''.

La recente campagna oceanografica denominata ha rilevato infatti dati coerenti con le condizioni meteo climatiche del periodo e non ha segnalato fenomeni particolari come ipossie degli strati piu' profondi o presenza di mucillagini superficiali o in colonna, mentre sono stati osservati un paio di tonni in caccia ed esemplari di delfini.(ANSA).

martedì 31 maggio 2011

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/si-alle-sardine-no-ai-gamberi/2152505

Che pesce mangiamo? Nuove tecnologie contro le frodi

di MONICA RUBINO  da Kataweb.it
La Commissione europea pubblica un rapporto sulle nuove tecnologie molecolari, basate sulla genetica, che possono contribuire alla lotta contro le pratiche illegali e rafforzare la tracciabilità anche dei prodotti trasformati, come il pesce in scatola. E intanto i prezzi troppo alti del pesce fresco frenano i consumi
GRAFICO Una fronde in 5 tappe TABELLA Le truffe più comuni
Tagli di pesce lupo di poco valore venduti come costosi filetti di sogliola, pesce pangasio del sudest asiatico spacciato per ricciola, oppure merluzzo pescato nel mare del Nord che viene fatto passare per più pregiato merluzzo del mar Baltico: ecco alcuni tra gli esempi più comuni di frode nel settore della pesca (GUARDA LA TABELLA). Un rapporto della Commissione europea appena pubblicato segnala come le tecnologie molecolari, basate sulla genetica, la genomica, la chimica e la medicina legale, possano dare risposte precise a domande come: "da che specie di pesce viene questo prodotto, dove è stato pescato, è di allevamento o no?". La relazione del Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione, dal titolo "Lotta alle attivita' illegali nel settore della pesca" ('Deterring illegal activities in the fisheries sector') spiega in che modo queste tecnologie possono contribuire alla lotta contro le pratiche illegali e rafforzare la tracciabilità - anche per i prodotti trasformati come il pesce in scatola - "dal mare alla tavola".

Le frodi più comuni. Quello ittico è tra i settori alimentari a maggior rischio di truffa. Nell'ultimo anno i sequestri più consistenti sono avvenuti soprattutto in Campania, Puglia e Marche: ben 6.677 i controlli svolti dai Nas, 160 le tonnellate di prodotti ittici sequestrati, 588 i reati e gli illeciti amministrativi scoperti, pari a quasi 700 mila euro di sanzioni.
Due delle tecniche fraudolente più diffuse nel settore della pesca sono l'indicazione, in etichetta, di un nome falso della specie di pesce o del prodotto della pesca venduto oppure la dichiarazione di una falsa origine geografica. Per non parlare poi del processo di rigenerazione del pesce scaduto che viene venduto come fresco: per eliminare la puzza,  si lava con acqua, sale e aceto. Spesso si asportano, o addirittura vengono colorate, le branchie. E se gli occhi appaiono “offuscati” si sostituiscono direttamente. GUARDA IL GRAFICO

Secondo il regolamento Ue n. 104\2000 le etichette devono contenere tre requisiti fondamentali: la denominazione commerciale della specie, l'area di pesca e il metodo di produzione (con le diciture “pescato”, “prodotto dalla pesca in acque dolci” oppure “allevato). Una recente indagine del Movimento difesa del cittadino svolta in 157 banchi vendita in 10 mercati rionali di altrettante regioni italiane ha messo in evidenza che solo il 26% di questi presentava correttamente le informazioni al consumatore. E' importante anche sapere se il prodotto che stiamo comprando è fresco o decongelato, altrimenti possiamo commettere l’errore di ri-congelarlo di nuovo. 

Le tecniche molecolari. La relazione del Ccr descrive in che modo le metodiche molecolari, come quelle basate sulla tecnologia del Dna, permettano di identificare le specie anche nei prodotti trasformati, senza bisogno di conoscenze specialistiche. Le tecnologie molecolari costituiscono perciò "un potente strumento di controllo indipendente e possono essere utilizzate nel processo di verifica, in particolare durante il cosiddetto esame fisico di una partita, di un prodotto, di un container o di un magazzino". Tra le misure concrete proposte dall'Ue anche quella di dare accesso ai laboratori di analisi degli stati membri ad archivi comuni di dati di riferimento e ad altre conoscenze utili per l'analisi dei pesci e dei prodotti della pesca. 

I consumi di pesce. Il caro prezzi spinge gli italiani a mangiare meno pesce e a rinunciare soprattutto a quello  fresco. E' quanto emerge da uno studio Ismea ((Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) diffuso al Slow  Fish 2011 di Genova, secondo il quale gli acquisti domestici nel 2010 hanno segnato, nel segmento del fresco, una contrazione del 5,7% su base annua, in risposta a un aumento dei prezzi di oltre il 4%. Oltre al pesce fresco, penalizzato anche il congelato sfuso, mentre la classifica delle specie più acquistate vede in testa i mitili, seguiti da orate, alici, spigole e vongole. Sempre lo scorso anno le importazioni di prodotti ittici sono cresciute del 2,5% in volume e del 10,8% in valore, per un quantitativo che ha sfiorato i tre quarti del fabbisogno nazionale. "In generale - spiega l'Ismea - con la sola eccezione del decongelato, il giudizio dei consumatori sugli aspetti salutistici dei prodotti ittici è sempre positivo, anche in considerazione della digeribilità e della leggerezza. Ma è evidente che alle preferenze espresse dai consumatori corrisponda, nei fatti, un diverso comportamento di acquisto, condizionato nel momento della scelta soprattutto dal fattore prezzo".                                                          (30 Maggio 2011)

sabato 28 maggio 2011

Bioagricoltura notizie di Aiab.it

Relazione della Commissione Eu sulle possibilità di pesca nelle acque comunitarie, AIAB: “Necessario un coordinamento complessivo delle politiche della pesca e dell’acquacoltura, nonché un indirizzamento verso le produzioni di qualità e biologiche”
La relazione della Commissione europea in merito alle potenzialità di pesca nelle acque comunitarie prende atto di una situazione di sovrasfruttamento degli stock ittici conosciuta a livello UE ed internazionale già da diversi anni.
Tutti i rapporti ufficiali, compreso quello annuale della FAO, tendono infatti a sottolineare il raggiungimento generalizzato di limiti di pesca (limiti tecnologici e sovrasfruttamento delle risorse) ed evidenziano invece la crescita delle produzioni di acquacoltura che, oltre a rappresentare un’alternativa sostenibile, potrebbero andare a costituire insieme ad essa, in numerose realtà, un vero e proprio sistema produttivo acquicolo integrato finalizzato alla razionalizzazione dei prelievi e alla sostenibilità del lavoro.
La proposta di applicazione di modalità di pesca basate sul “rendimento massimo sostenibile” e, in particolare, la prospettiva di basare ogni decisione su dati scientifici con un approccio di tipo precauzionale, rappresentano quindi importanti elementi che indicano una tendenza all’allineamento del comparto a criteri di miglioramento delle strategie complessive di sviluppo e di sostenibilità ambientale ed economica già indicate, per l’acquacoltura UE, nella  Risoluzione del Parlamento europeo del 1 7 giugno 2010 – ("Un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea" 2009/2 1 070N1). Indicazioni in tal senso erano già emerse lo scorso anno in seno alla Commissione pesca ed avevano evidenziato le potenzialità dell’acquacoltura, in particolare biologica, nella  creazione di distretti di produzione integrata, nel recupero di numerosi areali produttivi costieri d ella UE nella valorizzazione delle specie autoctone.
Per AIAB ciò che sarà fondamentale per la razionalizzazione delle attività di pesca sarà la possibilità di disporre di una pluralità di pareri scientifici che possano garantire la trasparenza e l’equità di tutto il processo decisionale, così come l’avvio di politiche di promozione e di informazione rivolte al consumatore per diffondere una migliore conoscenza di tutte quelle specie ittiche considerate meno pregiate, ma  particolarmente interessanti, oltre che per aspetti inerenti la sostenibilità del loro prelievo in natura,  sotto il profilo nutrizionale e dell’impatto economico all’acquisto.
Secondo AIAB, inoltre, Il contesto generale evidenzia la necessità di un ripensamento e di un coordinamento complessivo delle politiche della pesca e dell’acquacoltura senza i quali nessuna azione potrà avere piena efficacia e rischia di trasformarsi in un rimedio temporaneo all’emergenza. In questo senso l’attenzione e le scelte dovrebbero essere indirizzate verso le produzioni sostenibili di qualità e biologiche le uniche in grado, allo stato attuale, di fornire garanzie di miglioramento, di innovazione produttiva e di mercato e di razionalizzazione del comparto.

giovedì 26 maggio 2011

Progetto Campagna di promozione della vallicoltura


http://www.vallidapesca.turismoruraleveneto.it/
Il progetto si propone di contribuire ad aumentare il valore aggiunto dei prodotti ittici delle valli del Veneto attraverso una campagna promozionale che ne valorizzi il legame con il territorio. La campagna si rivolge agli utilizzatori dei prodotti di valle sia intermedi (ristorazione, mense, commercio) sia finali (cittadino/consumatore) coinvolgendo le popolazioni locali, le istituzioni e gli operatori socio-economici (amministrazioni locali, GAL, Associazioni dei consumatori, Associazioni degli albergatori e ristoratori, ecc.).
 
Iniziative:
  • sportello informativo “Punto Laguna” aperto alla popolazione e ai turisti a Lova di Campagna Lupia (VE)
  • escursioni in bicicletta nelle valli da pesca del vostro territorio
  • uscite in barca nella laguna sud di Venezia
  • visite all’oasi naturalistica di “Valle Averto” (WWF)
  • degustazioni gastronomiche a base di pesce di valle
  • rievocazioni storiche di antichi mestieri di valle
  • esposizione di attrezzi e reperti testimonianti la vita e i lavori nelle valli da pesca
  • incontri pubblici sulle caratteristiche dell’ambiente vallivo e sul valore dei prodotti della pesca
  • campagna informativa presso biblioteche, punti di informazione turistica e ristoranti, ecc.
PROGRAMMA EVENTI

Conosci il pesce di valle e il suo ambiente?
Apre a Lova di Campagna Lupia lo sportello informativo “Punto Laguna”: consultazione di materiale informativo sulla laguna, le valli e i prodotti della pesca, proiezione di filmati tematici, escursioni ed iniziative culturali.

Tutte le domeniche fino al 17 luglio2011 (8.00-12.00 , 15.00-19.00).
Appuntamenti speciali:
  • Venerdì 10 giugno: Visita guidata nell’oasi WWF di Valle Averto. Ritrovo presso l’oasi alle ore 18.00, a conclusione cena tipica. Prenotazione obbligatoria entro l’8 giugno;
  • Giovedì 16 giugno: escursione in bicicletta con partenza dalla chiesetta di Lugo alle ore 18.00, visita alla chiesetta e all’idrovora, a conclusione cena tipica. Prenotazione obbligatoria entro il 14 giugno;
  • Giovedì 23 giugno: serata culturale presso il Punto Laguna dalle 18.00 alle 22.00;
  • Sabato 25 giugno: Visita guidata nell’oasi WWF di Valle Averto. Ritrovo presso l’oasi alle ore 18.00, a conclusione intrattenimento e degustazione. Prenotazione obbligatoria entro il 23 giugno;
  • Domenica 26 giugno: Escursione in battello di mezza giornata in laguna sud in collaborazione con ATN Lagunasud. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 18 giugno.
  • Domenica 3 luglio: escursione in bicicletta nell’oasi WWF - Valle Averto. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 1 luglio;
  • Domenica 10 luglio: Escursione in battello di mezza giornata in laguna sud in collaborazione con ATN Lagunasud. Ritrovo alle ore 8.00 presso il Punto Laguna. Prenotazione obbligatoria entro il 2 luglio.
  • Giovedì 14 luglio: escursione in bicicletta in Valle Perimpiè, con partenza dal Punto Laguna alle ore 18.00, a conclusione cena tipica; prenotazione obbligatoria entro il 12 luglio
Nota Bene: ingresso all’oasi, escursioni in battello e costo cene a carico dei partecipanti.
Iscrizioni: email: vallidapesca@turismoruraleveneto.it Tel: 366.5390913

martedì 24 maggio 2011

Tonno Mareblu lattina trasparente: l'etichetta dichiara la specie e le zone di pesca

L'impegno dell'azienda per l'ecosostenibilità

Su tutte le lattine Mareblu prodotte dal 1 gennaio 2011 ci sono due nuove importanti informazioni sulla  specie di tonno e sulla zona in cui è stato pescato (forse le campagne di stampo ecologista a favore della sostenibilità della pesca cominciano a dare qualche frutto).
  Ilfattoalimentare.it ha seguito con attenzione l’impegno di Greenpeace diretto a una maggiore trasparenza dell’etichetta, per consentire al consumatore una scelta consapevole e per spingere i produttori di tonno ad adottare criteri di pesca rispettosi della specie. 
Mareblu, società del gruppo MWBrands, è la terza marca nel mercato italiano delle conserve ittiche, annuncia una nuova iniziativa caratterizzata dall'attenzione per le problematiche ambientali. In effetti, già nel rapporto Tonno in trappola redatto da Greenpeace, dove gran parte delle aziende produttrici uscivano con le ossa rotte, per scarsezza di informazione e mancata adozione di criteri di approvvigionamento sostenibili, Mareblu era tra i pochi marchi (insieme a Coop e ASdoMAR) a ottenere un risultato accettabile.
Le informazioni sulla nuova lattina “trasparente” non saranno criptate in codici e sigle di difficile interpretazione per il consumatore, ma si troveranno scritte per esteso. E si aggiungeranno a quelle già presenti: data di scadenza, stabilimento, lotto di produzione e barca che ha effettuato la battuta di pesca.
Da gennaio, quindi, il tonno Mareblu sarà totalmente tracciabile.
La varietà utilizzata è la pinna gialla, pescata secondo gli standard dettati dalle organizzazioni internazionali di tutela delle specie marine. I tonni sono lavorati direttamente nelle zone di pesca, nello stabilimento con sede nelle isole Seychelles.
L’innovazione è l’ultima di una serie di iniziative del marchio Mareblu a favore della pesca sostenibile. Il gruppo MWBrands è socio fondatore della fondazione Issf – International Seafood Sustaniability Foundation -un’organizzazione indipendente non governativa che riunisce ricerca scientifica, associazioni ambientaliste e aziende del tonno per elaborare un piano strategico per una gestione responsabile delle risorse degli oceani.
 

Mariateresa Truncellito
http://www.ilfattoalimentare.it/
foto: Photos.com

lunedì 23 maggio 2011

Anguille: facciamo il punto da slowfish.it

In Europa, negli ultimi trent’anni la popolazione di anguille è andata incontro a un costante declino, al punto da essere inclusa nella lista delle specie in pericolo di estinzione stilata dalla Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.

Capire le dinamiche e le cause che hanno portato fino a questo punto non è facile, anche per le molte domande ancora senza risposta sul loro ciclo vitale e sul percorso che compiono per raggiungere le nostre coste. L’anguilla europea depone le uova e si riproduce nel Mar dei Sargassi; da qui le larve migrano verso est e raggiungono le zone dell’Atlantico orientale, dove colonizzano le coste e le acque interne. Dopo qualche anno e un paio di metamorfosi, le anguille adulte raggiungono la maturità sessuale, emergono dai fondali e nuotano in superficie seguendo l’istinto che le porterà a ripercorrere le correnti per raggiungere i Sargassi per riprodursi. Date le difficoltà nel seguire le anguille nel loro percorso, ancora diversi particolari non sono stati chiariti, cosa che non contribuisce a capire come riuscire a farle riprodurre anche in cattività.

Sicuramente, le cause dell’impoverimento della specie sono da rintracciarsi in più fattori a partire dalla pesca eccessiva e dalla possibile presenza di nuovi parassiti, fino ad arrivare al riscaldamento delle acque, alla modifica e alla perdita di habitat e all’inquinamento. Il cambiamento delle condizioni climatiche e il riscaldamento globale potrebbero aver causato l’alterazione delle correnti marine che indirizzavano le anguille durante la migrazione, rendendo il tragitto più lungo e faticoso o addirittura impossibile da percorrere. Inoltre negli ultimi anni la maggior parte dei corsi d’acqua interni sono stati modificati con l’inserimento di diversi sbarramenti, cosa che ha reso più difficile la risalita delle anguille dai mari verso i loro habitat usuali influenzando in qualche modo lo sviluppo e il raggiungimento della maturità sessuale. Anche l’inquinamento delle acque potrebbe aver giocato la sua parte: le anguille, infatti, durante la migrazione che le riporta ai Sargassi non si nutrono, ma vivono dei grassi accumulati durante l’accrescimento nelle acque interne. Tuttavia la presenza di sostanze inquinanti nelle acque e, quindi, nei tessuti delle anguille può alterare l’accumulo adiposo e persino la fertilità.

A complicare le cose c’è anche il fatto che riprodurre le anguille in cattività si è finora dimostrato molto difficile, se non addirittura impossibile. Ultimamente qualche passo avanti almeno in questa direzione sembra essere stato fatto, come dimostrano i recenti progressi del Presidio dell’Anguilla delle Valli di Comacchio dove i numerosi sforzi per migliorare e incrementare lo stock dell’allevamento stanno dando i primi frutti. In ogni caso ridurre i livelli di pesca, limitandola ai soli esemplari adulti e ai periodi giusti che vanno dall’autunno all’inverno, è la prima misura da osservare per evitare che lo stock di anguille si impoverisca ulteriormente. Del resto, questo è esattamente il modo in cui si è sempre comportata la pesca artigianale: i pescatori del Presidio dell’anguilla dei laghi della Tuscia, ad esempio, pescano solo da settembre a dicembre e praticano un metodo di pesca altamente selettivo che non cattura le anguille ancora immature, ma cattura solo una parte di quelle adulte che si avvicinano alla superficie del lago per iniziare la migrazione che le porterà verso i Sargassi.

venerdì 20 maggio 2011

AllertaPrezziPackagingTestEuropaEfsaOGMRecensioni & bufaleLettereRSSAdditivi alimentari nel pesce ed etichette ingannevoli: così prendo in giro il consumatore. I risultati di un'inchiesta firmata Eurofishmarket

I risultati di un'inchiesta firmata Eurofishmarket
Un’inchiesta  della rivista  Eurofishmarket  (numero 1 del 2011) denuncia l'uso generalizato di sostanze chimiche e additivi alimentari per mascherare i processi di alterazione del pesce, per migliorare l'aspetto e aumentare in modo artificioso il peso.
Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute, perchè si tratta di additivi autorizzati utilizzati  in modo scorretto.
La legge infatti autorizza nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati) alcuni additivi: quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non  induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute.
Purtroppo una norma così semplice e chiara (regolamento CE 1333/2008) non sempre viene applicata in modo regolare. Gli esempi non mancano, basta citare  il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del  tonno e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti. Le tecniche sono varie: spesso si effettua l'iniezione di una soluzione contenente l'additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che ilprincipio attivo venga assorbito.
Quando il pesce fresco viene "trattato" con additivi  leciti deve essere classificato come  prodotto alimentare “trasformato”, e quindi non si può scrivere sull'etichetta la parola fresco “fresco”, e non si deve lasciare credere al consumatore che sia tale. Ci sono poi altre questioni colelgate alle false scritte in etichetta come: il rischio di allergie per le persone sensibili,  la possibile frode commerciale dovuta alal vendita di acqua al posto (o allo stesso prezzo) del pesce, l’utilizzo di sostanze che non sono registrate come additivi come l’acqua ossigenata.
Non si tratta di casi isolati visto che secondo il rapporto del Sistema di allerta rapida europeo (Rasff)  le frodi e le furberie nel  settore ittico sono in crescita. In particolare nel 2009, 32 segnalazioni su 712 (il 4,5%) hanno riguardato irregolarità nell’uso degli additivi nel pesce.
Gli esperti di Eurofishmarket hanno prelevato dal mercato e esaminato in laboratorio  numerose specie di pesce alla ricerca di polifosfati, citrati e acqua ossigenata. Le analisi di  hanno constatato che:
1) sono presdenti additivi consentiti e non consentiti;
2) a volte quelli consentiti sono utilizzati in quantità superiore ai limiti;
3) alcuni additivi sono usati per alterare la percezione della freschezza (e quindi ingannano il consumatore);
4) alcuni additivi sono usati per trattenere  liquidi (dando luogo a una vera frode commerciale);
5) alcuni additivi non sono indicati in etichetta o comunque non in quella visibile dal consumatore.
In particolare, i polifosfati hanno azione legante e si usano per impedire al pesce di perdere l’acqua. Si tratta di un rallentamento del processo naturale che ermette al pesce di mantenere un aspetto “fresco” più a lungo. Questo trattamento è forse un po’ ingannevole, ma è permesso dalla legge e va indicato sull'etichetta. Se per i polifosfati è prevista una dose massima di impiego (5 g/kg per i filetti), per la maggior parte degli altri additivi  utilizzati nel settore ittico la norma stabilisce solo la frase “quanto basta”.
Nel corso delle analisi di laboratorio Eurofishmarket ha trovato possibili segni dei polifosfati (fosfato bibasico, che potrebbe essere un prodotto finale della degradazione dei polifosfati) in 7 campioni su 17, in una seconda  campionatura le positività hanno interessato 9 dei 14 campioni analizzati, e in una terza serie di pesci  17 su 22.
L'aspetto curioso è che sulle etichette nessun campione citava la presenza di polifosfati. Alla fine nel  62% dei campioni esaminati sono stati trovati  polifosfati non dichiarati in etichetta. La percentuale arriva all'84% per i filetti di pesce (21 casi positivi su 25). Le percentuali più elevate di additivi sono state trovate proprio nel prodotto venduto come “fresco”.
Se per i polifosfati non c’è la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta e il fosfato bibasico che si riscontra nelle analisi potrebbe in linea teorica derivare da cause fisiologiche o da altri coadiuvanti tecnologici, la presenza di citrati è invece sicuramente indice di un'aggiunta artificiale (l’acido citrico è totalmente assente nel pesce). Questa sostanza viene utilizzata per prolungare la conservazione proteggendo il pesce dall’ossidazione, riducendo così l'irrancidimento dei grassi e le  modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l'acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20mg/kg.
Gli esperti di Eurofishmarket lo hanno trovato in abbondanza in alcuni campioni di filetti di Alaccia asiatica  (286 mg/kg) congelati, di filetti di Platessa surgelati (1140 mg/kg), e in un filetto di Platessa venduto come fresco (2250 mg/kg), senza che fosse dichiarato in etichetta. In conclusione, il 36% dei campioni sono risultati positivi, e in particolare modo si tratta di pesci piatti, cefalopodi e pesce azzurro.
L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici è vietato, ma in realtà il sistema viene utilizzato spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una Circolare del ministero della Salute che ribadisce il “divieto di utilizzo di perossido di idrogeno a contatto con il pesce destinato al consumo alimentare umano”.
L'acqua ossigenata viene usato in modo ilelcito perché rende più bianche le carni, in particolare dei cefalopodi (per esempio seppie, calamari, totani) il cui candore è particolarmente apprezzato dal consumatore.
Per vedere gli effetti dell'acqua ossigenata, gli esperti hanno confrontato il decadimento qualitativo di un campione di alici dopo 4 giorni di sosta in frigorifero rispetto a un gruppo  di alici trattate con acqua ossigenata. Il risultato è interessante perché  le alici non trattate  hanno perso tutte le caratteristiche di freschezza (occhio opaco e infossato, opercoli bruno-giallognoli, tracce ematiche…), mentre quelle lavate con acqua ossigenata sembrano appena pescate. La stessa cosa si registra  per i filetti di alici non trattati che diventano di colore rosso scuro, mentre quelli trattati mantengono un colore bruno chiaro tendente al giallo.
Purtroppo dimostrare con certezza l’uso di questa sostanza è molto difficile, perché i perossidi, una volta esplicata la loro azione, scompaiono.
I dati di Eurofishmarket evidenziano  l'uso frequente ldi  additivi in alcuni tipi di pesce fresco (che  non si può più chiamare così) non dichiarati in etichetta come prescrive la legge. L'aspetto allarmante è che gli additivi il più delle volte non  sono utilizzati  per uno scopo tecnologico, ma per mascherare il reale stato di freschezza, variando la colorazione, l’aspetto o aumentando il peso in modo artificiale. C’è anche il probabile uso di sostanze vietate, per le quali dovrebbe essere messo a punto un metodo ufficiale per rintracciarle. Insomma: il Regolamento (CE) 1333/2008 non sembra correttamento applicato.
Gli additivi alimentari però non vanno demonizzati quando sono usati nei modi previsti dalla legge. I consumatori però devono saperlo e le etichette devono essere corrette. In realtà spesso le violazioni avvengono perché i produttori cercano di venire incontro a esigenze estetiche, che però non sempre coincidono con il valore nutrizionale e la salubrità di ciò che mettiamo nel piatto.  
Mariateresa Truncellito   da http://www.ilfattoalimentare.com/      foto: Photos.com

Bluefin Tuna: Overview da eu.oceana.org

Bluefin tuna (Thunnus thynnus)Atlantic bluefin tuna (Thunnus thynnus) is an emblematic species that has been driven toward extinction by overfishing (mainly due to the industrial purse seine fishery and their capture for fattening in cages) and international trade.
The bluefin tuna is a predator and, as such, is in the highest positions in the food chain, playing an important role in maintaining the ecological balance of the marine environment. Furthermore, because of its low reproduction rate and late maturity, at 3-5 years, this animal is very vulnerable to overfishing.
Scientists from the International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) have concluded that Atlantic bluefin tuna face an unprecedented decline to less than 15 percent of its virgin spawning stock biomass (unfished). This species is clearly at risk of extinction.
Bluefin tuna (Thunnus thynnus)Atlantic bluefin tuna (Thunnus thynnus) is an emblematic species that has been driven toward extinction by overfishing (mainly due to the industrial purse seine fishery and their capture for fattening in cages) and international trade.

The bluefin tuna is a predator and, as such, is in the highest positions in the food chain, playing an important role in maintaining the ecological balance of the marine environment. Furthermore, because of its low reproduction rate and late maturity, at 3-5 years, this animal is very vulnerable to overfishing.
Scientists from the International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) have concluded that Atlantic bluefin tuna face an unprecedented decline to less than 15 percent of its virgin spawning stock biomass (unfished). This species is clearly at risk of extinction.

Diossina nel pesce: vietata la vendita di anguille nel lago di Garda, da ilfattoalimentare.it

 Un provvedimento necessario che non deve creare allarmismo

Il ministero della Salute il 17 maggio ha vietato la commercializzazione  delle anguille provenienti dal lago di Garda, perché sono risultate contaminate da diossina. Nel provvedimento si dice che il divieto durerà un anno e  si invitano le Regioni e le Province interessate ad informare i consumatori sui rischi per la salute.

La decisione è stata assunta in seguito ad analisi condotte su 102 campioni di vari pesci  (anguilla, agone, coregone, luccio, pesce persico e tinca) prelevati in 10 località. I laboratori hanno individuato la presenza di una quantità di diossine, furani e PCB superiore ai livelli di legge solo nelle anguille di lago. Questa specie è stata penalizzata perché le diossine si accumulano nel grasso degli animali e le anguille hanno un elevato contenuto di lipidi.
La seconda precisazione da fare riguarda i valori di diossina, PCB e diosisne simili  riscontrati che sono del 15-20 % superiori rispetto a quelli previsti   dall’Unione Europea (14 picogrammi/g è il valore medio trovato mentre  12 piogrammi/g è il valore massimo della norma)  e in questi casi il provvedimento di divieto di commercializzazione scatta automaticamente. Per tranquillizzare la popolazione, il ministero assicura che le acque del lago di Garda sono assolutamente sicure per la balneazione, e non si rileva alcun problema sulla qualità dell'acqua potabile.
Secondo alcuni esperti addetti ai lavori il provvedimento del ministero giunge tardi e dovrebbe essere più preciso. La presenza di diossina nei laghi non è una novità. Le autorità sanitarie Svizzere del Canton Ticino, che inglobano nel loro territorio la parte alta del lago Maggiore, già nel gennaio 2008  ponevano l’accento sul problema della diossina nei pesci (vedi allegato).
Nel gennaio 2009 le stesse autorità svizzere hanno deciso il divieto di commercializzazione di anguille e agoni (un pesce grasso chiamato anche alosa, o sardina di lago) proprio per l’eccesso di diossina.
In Italia non è stato preso alcun provvedimento perchè non si fanno le analisi e quindi il problema risulta inesistente. Nell’autunno del 2010 però i laboratori si sono attivati e si è scoperto che il problema della diossina è comune a molti laghi compreso il lago di Garda. Sulla base di queste indicazioni il ministero  ha deciso di vietare la vendita  di anguille come era lecito aspettarsi.
Il provvedimento è corretto ma rischia di creare un certo allarmismo, perché la parola diossina fa sempre paura, e la reazione dei cittadini sarà probabilmente quella di non mangiare più pesce di lago per un anno. Sarebbe necessario affiancare alla decisione qualche spiegazione, e fare un’adeguata analisi del rischio sulla base dell’esposizione effettiva dei cittadini.
Per esempio le autorità svizzere quando hanno vietato la vendita al dettaglio di alcuni pesci a causa della diossina nel lago Maggiore hanno fatto delle distinzioni.  Divieto  di mangiare agoni del Lago Maggiore a minori di 18 anni e donne incinte, ma hanno anche detto  agli adulti che pescano per hobby di  limitare il consumo a 120 g alla settimana, per fare capire che se assunto in modo ragionato il consumo di pesce non crea problemi. 
Questa raccomandazione lascia intendere che il rischio diossina esiste, ma non deve essere considerato un allarme, ma va inquadrato in un ambito dove è anche ammesso il consumo limitato.

In Finlandia dove si riscontrano problemi simili per le aringhe, le autorità sanitarie consigliano ai giovani e alle donne incinte di mangiare solo pesci di lunghezza inferiore ai 17 cm (esemplari giovani) con una frequenza di 1-2 volte al mese, perché hanno  un contenuto di diossine  compatibile. Un analogo discorso viene fatto per i lucci che avendo un livello di mercurio  elevato, sono sconsigliati  alle donne incinte.
Anche negli Stati Uniti in alcuni laghi ai pescatori sportivi viene distribuito un depliant dove si cosniglia di cucinare i pesci grassi sulla griglia per limitare l’ingestione di diossina, e di i togliere le parti grasse  dove  si  trova la sostanza. Certo stiamo parlando di un consumo occasionale, ma questo messaggio tranquillizza i pescatori e da la giusta dimensione del problema.
Forse anche in Italia sarebbe utile affiancare al provvedimento di divieto deciso dal ministero, alcune precisazioni per evitare allarmismi e il rischio di abbandono da parte dei cittadini del consumo di tutti  i pesci del lago (non solo delle anguille) come accade quando compare la parola diossina.

Documento redatto dalle autorità sanitarie svizzere per spiegare  cos’ è la diossina,  qual è il pericolo e come ridurre  l'ingestione (vedi allegato)
I consumatori possono contenere la propria assunzione di diossine e PCB mediante un'alimentazione moderata, equilibrata (in particolare, riducendo la quantità di grassi animali) e ricca di frutta e verdura.
La popolazione può inoltre contribuire attivamente alla riduzione delle emissioni di diossina nell’ambiente smaltendo i rifiuti secondo le prescrizioni ed astenendosi dal bruciare illegalmente i rifiuti in casa (camini e stufe) o all’aperto. Le emissioni di PCB possono essere ridotte anche nei cantieri o in fase di smaltimento grazie ad una corretta manipolazione dei materiali contenenti PCB (p. es. masse di sigillatura dei giunti, vernici, rivestimenti anticorrosivi, apparecchi e impianti elettrici, residui di processi di triturazione).
Cosa sono le diossine e i PCB?
Nell’uso corrente, il termine “diossine” designa due classi di sostanze molto simili, le policloro-dibenzo-p-diossine (PCDD) e i dibenzofurani policlorati (PCDF), spesso denominate anche PCDD/F. Negli ultimi tempi  a queste si sono aggiunti, a causa della loro azione tossica analoga, anche alcuni esponenti (congeneri) della classe dei policlorobifenili (PCB). Le sostanze appartenenti a questo gruppo sono denominate “policlorobifenili diossina-simili” o “policlorobifenili coplanari” (Co-PCB).


 Diversamente dai prodotti fitosanitari, che vengono impiegati in modo mirato, i contaminanti ambientali ubiquitari sono talmente diffusi da ritenere impossibile l’eliminazione a breve termine dei residui presenti nell’ambiente e nelle derrate alimentari. Per questa ragione occorre fare tutto il possibile per ridurre la contaminazione di fondo.
Rischi per la salute derivanti dalle diossine e dai PCB
Il rischio per la salute è acuto soltanto in caso di incidenti che provocano una forte esposizione a diossine o PCB. Questo non era il caso negli scandali alimentari degli ultimi anni. Secondo calcoli recenti, tuttavia, una parte della popolazione europea assume attraverso l’alimentazione una quantità di diossine e PCB superiore ai limiti massimi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Per questa ragione, le autorità competenti stanno adottando ulteriori provvedimenti per ridurre la contaminazione di fondo.
Il grafico (fonte: rapporto annuale 2004) mostra che circa il 50 per cento delle diossine e dei Co-PCB è assunto dalla popolazione attraverso il latte e i latticini. Questo risultato è confermato anche dai dati più recenti e corrisponde a quanto riscontrato nei Paesi dell’UE paragonabili con la Svizzera.
Roberto La Pira                                                        Foto:Photos.com