Valle Sacchetta Sacchettina

Valle Sacchetta Sacchettina
visitata lo scorso 13 novembre

mercoledì 27 aprile 2011

da ansa.it

Proposto uso piattaforme petrolio come vivai pesci

Scienziati, cambiare legge che ne prevede rimozione dopo 20 anni

Proposto uso piattaforme petrolio da rimuovere dopo 20 anni come vivai per i pesci Proposto uso piattaforme petrolio da rimuovere dopo 20 anni come vivai per i pesci
(ANSA) - SYDNEY, 21 APR - Le piattaforme petrolifere in disuso, che per legge andrebbero rimosse a forte costo dopo 20 anni di attività, dovrebbero invece essere lasciate al loro posto per diventare vivai di pesci e proteggerli così dai pescherecci a strascico illegali. La proposta viene da scienziati marini dell'Università di tecnologia di Sydney, che ponderano il futuro dei più di 6000 impianti di trivellazione sparsi fra gli oceani.
"Vi è un gran numero di piattaforme da smantellare in un prossimo futuro, perché hanno raggiunto la fine della loro vita produttiva, oppure perché non c'é più petrolio, e si pone la questione di cosa fare con queste strutture", si chiede il prof. Peter Macreadie sulla rivista Usa, Frontiers in Ecology and the Environment.
"Nel mare profondo non vi sono molti habitat con strutture solide come i banchi corallini, e l'aggiunta di nuove strutture può potenziare la popolazione delle specie ittiche". Macreadie osserva che i pescherecci illegali che operano in aree di acque profonde stanno decimando le popolazioni dei banchi corallini.
"Ciò che è devastante è che le specie di profondità hanno tassi di crescita molto lenti, si riproducono tardi nella vita, anche dopo 30 anni, e sono vulnerabili allo sfruttamento. Formano grandi aggregazioni attorno a strutture di profondità, che sono molto rare".
"Quando i pescatori scoprono tali aggregazioni, possono decimare intere popolazioni, molte generazioni, con un solo blitz delle loro reti", prosegue lo studioso. "Da qui l'idea delle piattaforme in disuso, che hanno molto spazio vuoto all'interno dove i pesci possono rifugiarsi al sicuro dai pescherecci". Resta l'ostacolo dei cambiamenti legislativi necessari per mettere in pratica la proposta. "La legislazione corrente richiede che siano smantellate, rimosse e riciclate a terra, ma bisogna rendersi conto che vi è un utilizzo molto migliore, oltre al fatto che manca ancora la tecnologia per rimuoverle". (ANSA)

martedì 19 aprile 2011

da ilfattoalimentare.it

I filetti di pesce pregiato spesso sono in realtà specie "povere". Valentina Tepedino commenta un'indagine di Altroconsumo

Falsi filetti di cernia, moscardini spacciati per polpi, persico africano che sembra dei nostri laghi perché sull'etichetta non è indicata la provenienza. Questo e altro hanno trovato gli esperti di Altroconsumo che hanno acquistato in tutta Italia, in 55 punti vendita 160 campioni di pesci e molluschi scoprendo che  nel 44% dei casi  le etichette sono scorrette o ingannevoli. Il rischio di frodi aumenta  quando si acquistano filetti di pesce.
Nei casi più gravi è stato venduto pesce di valore notevolmente inferiore: filetti di pangasio (forse addirittura decongelato) proposti come fieltti di cernia, persico o dentice, oppure smeriglio al posto del palombo o, ancora, eglefino come merluzzo. Altre volte c’è l’omissione della provenienza: per esempio, cernia atlantica (meno pregiata) venduta come cernia. Lo scambio d’identità avviene al nord come al sud, anche se nella grande distribuzione c’è maggiore onestà rispetto ai mercati rionali e pescherie (in queste ultime c’è anche l’aggravante di prezzi più cari).
«L’indagine ripropone la difficoltà di fare una spesa del tutto consapevole quando si acquistano filetti e tranci di pesce, soprattutto nelle pescherie e dagli ambulanti», spiega a Ilfattoalimentare.it Valentina Tepedino, veterinario e direttore del mensile specializzato Eurofishmarket.
Cosa dice la normativa in merito?
«Dal 2004 è obbligatorio etichettare i prodotti ittici segnalando denominazione, la provenienza e metodo di produzione. Negli ultimi anni infatti ci sono stati notevoli miglioramenti nella commercializzazione, soprattutto nei circuiti della grande distribuzione organizzata, che ha ormai presenta  il cartellino di vendita esposto sul banco del pesce con tutte le informazioni di legge». «I consumatori devono acquistare solo prodotti ittici con etichette a norma, ma l’attenzione deve essere alta anche sulle possibili frodi relative alla  vendita di un prodotto poco pregiato per uno più pregiato. Tra i filetti che l’associazione Altroconsumo a maggiore  rischio di sostituzione spiccano quelli di cernia e di merluzzo. Per le altre specie sono state rilevate minori non conformità o sono stati fatti pochi prelievi o non ci sono riferimenti utili ad una identificazione certa».
È un’indagine conclusiva?
«Il lavoro pecca un po’ nel numero di prelievi per specie,  e non sono chiari gli standard utilizzati per identificare le specie stesse. Per il resto, anche Eurofishmarket, da sempre osservatore delle frodi nei prodotti ittici, concorda con le conclusioni di Altroconsumo. Nel complesso i ricarichi più forti e le sostituzioni più evidenti sono avvenute sui banchi dei mercati rionali,  evidenziando il  minore rigore e i minori controlli in questo settore. Va anche sottolineato che in Italia circa il 75% del prodotto ittico, si acquista nei supermercati e ipermercati e i consumatori acquistano meno presso mercati, ambulanti, ecc. come aveva anche già evidenziato nel 2010 il Movimento di Difesa del Cittadino».
Ma il prezzo di vendita non fa la differenza?
«No, il prezzo non permette di intuire l’eventuale frode, visto che spesso è elevato. Meglio preferire un banco con etichette chiare, dove la provenienza viene indicata in modo esplicito (per esempio Mar Mediterraneo e non come Zone FAO n° 37.1, 37.2 e 37.3  che  indicano sempre il Mediterraneo ma sono incomprensibili ai piùi.  Un altro elemento importante  è la presenza di cartellini che differenziano bene ltra pesce fresco e quello decongelato».
Cosa possiamo fare se qualcosa insospettisce?
«Se il consumatore ha dubbi relativamente alla veridicità della specie acquistata può prendere contatti con la Guardia Costiera - l’organo di controllo ufficiale competente per le frodi qualitative sui prodotti ittici - attraverso il loro sito o scrivendo a pernonpescaresorprese@guardiacostiera.it»
Mariateresa Truncellito

lunedì 18 aprile 2011

da http://sloweb.slowfood.it

da ansa.it/mare

Ambiente: Wwf, 95% italiani a favore pesca sostenibile

Media europea 88%

18 aprile, 15:40
Wwf, il 95% degli italiani è a favore della pesca sostenibile Wwf, il 95% degli italiani è a favore della pesca sostenibile
 (ANSA) - BRUXELLES, 18 APR - Il 95% degli italiani ritengono''molto importante'' che i prodotti ittici in vendita nell'Ue arrivino da fonti sostenibili e non sottoposte ad un prelievo eccessivo. E' questo uno dei dati che emergono dal sondaggio indipendente condotto in 14 paesi europei e commissionato dal Wwf, in concomitanza con l'attuale revisione della politicacomunitaria della pesca.
I piu' ''ecologisti'' su questo fronteri sultano proprio gli italiani, rispetto ad una media europea dell'88%. Subito dopo arrivano francesi  (93%), portoghesi  (92%)e spagnoli  (91%), cioe' proprio i cittadini di paesi moltointeressati alla questione della pesca. Gli italiani sono anchecapofila dell'idea di conoscere l'origine di quel che arriva nelpiatto: per il 59% l'informazione sulla natura ''sostenibile''dei prodotti ittici non e' adeguata, contro una media europea del 72%.
Nonostante l'Europa sia il quarto produttore al mondo d pesce e prodotti dell'acquacoltura, ricorda il Wwf, fra il 54% eil 72% dei suoi stock ittici sono sottoposti ad una pesca eccessiva. Specie simbolo come il tonno rosso sono sulla soglia del collasso.
''Non possiamo continuare - afferma Louize Hill, responsabile per la pesca all'ufficio europeo del Eef - a sprecare le nostre preziose risorse marine in un periodo di crisi economica. La riforma della politica comunitaria della pesca del 2012 deve portare un cambiamento''.
''E' interessantevedere come in paesi dove la pesca e' un settore importante -aggiunge l'eurodeputata portoghese Maria do Ceu Patrao Neves -come Portogallo, Francia e e Spagna, la gente sia piu' convinta che una pesca sostenibile deve avere la priorita' nella riforma della politica Ue''.
I paesi oggetto del sondaggio per il Wwfsono stati: Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Spagna,Portogallo, Germania, Grecia, Italia, Ungheria, Polonia, Sveziae Gran Bretagna, per un totale di 14,635 intervistati. (ANSA).

mercoledì 13 aprile 2011

da ansa.it

Pesca: Ue decide licenza a punti e controlli a tappeto

Ccontro illegalita' vigilanza elettronica,sanzioni,ritiro licenza

13 aprile, 10:28

PESCA: Ue decide licenza a punti e controlli a tappeto PESCA: Ue decide licenza a punti e controlli a tappeto
 (ANSA) - BRUXELLES, 12 APR - Bruxelles ha deciso di metterci il carico da novanta per portare un duro colpo alla pesca illegale in Europa, rompere cioé con il passato e istituire una vera cultura della legalità. "Non possiamo più accettare - ha spiegato la commissaria europea alla pesca Maria Damanaki - che una minoranza, se pur ridotta di pescatori, eluda le norme senza conseguenze. Questa situazione, oltre ad essere ingiusta, spezza il ciclo della legalità, crea distorsioni di concorrenza e, cosa più importante, distrugge le risorse del mare".
Bruxelles non ha quindi esistato oggi a varare un vero e proprio arsenale di misure che, nella grande maggioranza, diventeranno operative dal primo gennaio 2012: vanno dalla creazione di una 'licenza a punti' alla tracciabilità del pesce dalla rete al piatto, dall'obbligo di un registro di bordo elettronico per tutte le imbarcazioni di oltre 12 metri alle ispezioni lungo tutta la catena, dalla semplificazione delle regole ai controlli incrociati dei dati per via elettronica.
Ai trasgressori saranno imposte le stesse sanzioni, indipendentemente dal luogo in cui si trovano e dalla loro nazionalità em in caso di infrazione ripetuta, grazie al sistema a punti, finiranno per perdere la loro licenza. Verranno invece premiati i pescatori che rispettano le regole. La novità, del nuovo regolamento di applicazione dei controlli all'interno e all'esterno dell'Ue, è sicuramente la licenza a punti: più infrazioni vengono individuate più punti - tra 3 a 7 - vengono accreditati ai trasgressori.
Sono previste sospensioni di due, quattro, otto e 12 mesi quanto i punti salgono rispettivamente a 18, 36 e tra 54 e 72. Giunti a 90 punti, la licenza viene ritirata. Inversamente dei punti vengono tolti se i pescatori continuano a rispettare le regole o ancora se partecipano a campagne scientifiche, usano l'eco-etichetta o fanno parte di un'organizzazione di produttori che riducono di almeno il 10% le loro opportunità di pesca. Tra le novità c'é anche l'uso generalizzato di nuove tecnologie presso gli uffici delle autorità nazionali ma anche per introdurre il registro di bordo elettronico sulle imbarcazioni. La Commissione europea è pronta a pagare per questo, ma solo fino alla fine dell'anno, l'85 dei costi. Di fatto, spiegano gli esperti, 4.500 euro per ogni imbarcazione.
Nei controlli "l'Ue non è sola" ha assicurato Damanaki grazie anche ad una rafforzata collaborazione con importanti partner mondiali come Usa e Giappone. Attualmente, ha rivelato la commissaria, stiamo esaminando l'attività di 70 pescherecci battenti bandiera di 11 Paesi extra-Ue e di 5 Stati membri, per verificare eventuali irregolarità. E' così ad esempio che Bruxelles ha accertato che la Spagna nel 2010 ha pescato in eccesso 20.000 tonnellate di sgombro. Ora i quei pescatori hanno cinque anni per rimborsare, sotto forme di quote, il doppio del surplus. E', chiediamo, come si trova l'Italia sul fronte dei controlli? Per l'opera di rafforzamento fatta - rispondono gli esperti Ue - è la prima della classe nel Mediterraneo.(ANSA).  (di Patrizia Lenzarini)

da ilfattoquotidiano,it

A New York per creare un pesce robot leader”
Maurizio Porfiri, ingegnere elettronico di 34 anni, lavora a un progetto di ricerca per costruire un animale telecomandato che guidi il branco verso la salvezza nel caso di catastrofi ecologiche. Come lo scoppio della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico o lo sversamento di sostanze radioattive a Fukushima
Maurizio Porfiri, ingegnere elettronico di 34 anni
È pazzo per gli animali, per la “magica Roma” e per Brooklyn. “È stato Paul Auster, con il libro Follie di Brooklyn a farmi innamorare del più popoloso borough della Grande mela, prima ancora di arrivare qui”, confida Maurizio Porfiri, romano “e romanista”. Gli amici americani lo chiamano ‘Water wizard’. A soli 34 anni vanta il prestigioso Career Grant della National science foundation per il suo progetto sul controllo del comportamento collettivo di gruppi di animali attraverso robots biomimetici. Maurizio è stato pure inserito nella lista dei ‘Brilliant ten’ dalla rivista Popular science per la ricerca e il contributo che ha portato alla comunità scientifica del Polytechnic institute of New York university.

La sua carriera universitaria è nata alla Sapienza di Roma, dove si laurea in Ingegneria elettronica nel 2001. Ma durante il dottorato, indeciso su dove andare a vivere e a lavorare “da grande”, Maurizio salta dall’università della Capitale a quella di Tolone, passando per quella della Virginia. Poi sceglie New York dove, dal 2006, è assistant professor del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale del “Polytechnic institute of New York university”, a Brooklyn. È rimasto in contatto con i suoi colleghi italiani del primo biennio di Ingegneria, ma è a New York che insegna: “Non posso proprio lamentarmi di nulla”, dice soddisfatto. Sarà professore effettivo dal prossimo settembre.

È qui che, con la sua èquipe, fa ricerca per trovare le caratteristiche dominanti che fanno di un pesce un leader. E per sviluppare un modello artificiale in grado di replicarle. Insomma, per creare un vero e proprio pesce-robot dotato di intelligenza artificiale e ambizioni da capo che potrebbe essere la soluzione alle catastrofi ecologiche, come quella che ha colpito le acque al largo di Fukushima. “E’ un tentativo per salvare dall’estinzione pesci e fauna rarissima – ci spiega Maurizio – L’idea è che il pesce robot telecomandato possa portare in salvo l’intero gruppo. Pensiamo di utilizzare i robot per interagire con branchi di pesci veri per portarli in salvo da zone inquinate, come per esempio il Golfo del Messico: un leader, in plastica e ferro, pronto a guidare i suoi fedeli verso acque pulite, dove preservare e moltiplicare la specie”. Ma oltre a dover preparare il boss artificiale per le sfide ambientali più difficili, il gruppo di ricerca guidato da Maurizio è anche al lavoro per garantire la completa mimetizzazione della loro creatura, perché il rapporto di fiducia con gli altri pesci parte proprio da questo, dalla sua completa integrazione.

Il risultato è già visibile: una piccola noce di cocco, che a dirla tutta somiglia poco a una creatura del mare come siamo abituati a immaginarla noi. Eppure, ha tutto quel che serve per presentarsi davanti alla truppa di pesciolini e convincerli a seguirlo: tanto per iniziare ha grosse dimensioni ed è in grado di sbattere la coda molto velocemente. Nel realizzare il pesce artificiale non sono certo mancati i problemi da risolvere. Il principale era il sistema di locomozione, risolto in modo brillante. I ricercatori che lavorano con Maurizio, infatti, hanno utilizzato un polimero elettro-attivo, in grado di modificare la struttura in base a una serie di impulsi elettrici. E quindi, capace di assorbire o espellere acqua, come una spugna, a comando. Una tecnologia di propulsione che si adatta magnificamente a una creatura artificiale destinata alle vasche di laboratorio, ma è chiaro che per condizioni come il mare aperto c’è ancora del lavoro da fare. “Questa ricerca sposa le competenze tecniche in ingegneria che ho maturato negli anni con sfrenata passione per gli animali che ho sin da bambino – racconta soddisfatto Maurizio -. Ora la trasmetto agli studenti delle elementari, medie e superiori di qui, attraverso i programmi che seguo nelle scuole di New York”.

lunedì 11 aprile 2011

da eurosalus.com

Acqua radioattiva nell'Oceano e catena alimentarePDFStampaE-mail
DI ATTILIO SPECIANI   
sea-fish.jpgInsieme a notizie apprentemente tranquillizzanti, come la chiusura della rottura nel reattore 2, che per quasi un mese ha tenuto scoperte barre di combustibile in fusione nucleare, ci si interroga sul significato della immissione nell'Oceano Pacifico di quantità eneormi di acqua radioattiva e delle sue conseguenze sulla catena alimentare.
Abbiamo detto che saranno necessari controlli attenti, nel corso delle prossime settimane, mesi ed anni, su molte derrate alimentari, ma colpisce oggi la minimizzazione fatta dal governo giapponese in virtù della vastità dell'Oceano Pacifico. In pratica ci viene detto che siccome il Pacifico è grande, la quantità di radioattività si disperderà su tutto il mondo con pochi danni diretti.
Ora, se è vero che il rischio tumorale si riduce nel momento in cui cala la concentrazione delle sostanze radioattive nell'ambiente, è vero che il rischio radiologico non ha una soglia minima. Significa che anche una minima esposizione radioattiva può determinare un danno al DNA e facilitare il futuro sviluppo di forme tumorali.
In questo momento possiamo fare riferimento ad una tabella importante proposta dal New York Times in cui si evidenzia la graduale riduzione del rischio alimentare allontanandosi progressivamente dall'impianto di Fukushima.
Di certo però notizie come quelle riportate dal Corriere della Sera il 5 aprile, relative ai livelli di Iodio radioattivo rintracciati nell'acqua dell'Oceano non aiutano a stare tranquilli.
Noi di Eurosalus, anche con i precedenti articoli sulla radioattività presente negli alimenti abbiamo promesso di seguire strettamente l'evoluzione su questi temi per fornire le giuste indicazioni ai cittadini nel momento giusto. Per ora non esiste un problema diretto (anche perché l'Italia non importa vere quantità di pesce dal Giappone) ma già in breve si porrà un problema per le alghe provenienti da quelle zone.
Di certo l'immissione di queste quantità in mare porta all'inizio di una continua progressiva concentrazione di alcuni elementi radioattivi nella catena alimentare che suggeriscono comunque, al di là della lontananaza una protezione antiossidativa efficace nel lungo termine. 
 

giovedì 7 aprile 2011

da ansa.it/mare

Giappone: interrogazione Ue, rischio per pesce in scatola

Manca tracciabilita', denuncia vicepresidente commissione pesca

07 aprile, 12:19
Radiation Leakage From Fukushima Nuclear Power Plant A Concern For Japanese Fisheries. [ARCHIVE MATERIAL 20110329 ] Radiation Leakage From Fukushima Nuclear Power Plant A Concern For Japanese Fisheries.
 (ANSA) - STRASBURGO, 6 APR - Il pesce radioattivo giapponese puo' finire sulle tavole europee e nei nostri tramezzini. Il rischio lo segnala Guido Milana, vicepresidente della Commissione pesca del Parlamento europeo, che ha presentato una interrogazione al Consiglio Ue e al presidente della Commissione europea Jose' Manuel Barroso.
''Non c'e' controllo della filiera del pesce in scatola - dice Milana - Sulle etichette viene scritto dove viene confezionato, e basta. Il tonno ad esempio viene inscatolato nelle Filippine, in Indonesia o alle Seychelles. Ma non sappiamo da dove viene. In questi giorni la pesca in Giappone non si e' fermata: e' facile pensare che il prodotto invenduto sul mercato locale finisca nell'industria, che continua a confezionare. Ed il rischio e' che tra un mese o due quel pesce arrivi sulle nostre tavole''.
"L'Unione europea - ha aggiunto Milana - deve immediatamente migliorare l'etichettatura per il pesce ed altri alimenti inscatolati che possono venire da zone contaminate da radiazioni nucleari. La radioattività nelle acque del Giappone ormai è arrivata a superare di un milione di volte i limiti ammessi. Questo è motivo di grande preoccupazione". Secondo Milana i governi europei hanno trovato un primo accordo per migliorare la trasparenza e le informazioni sulla carne.
"Questo dovrebbe permettere alla Commissione - ha osservato il vicepresidente della Commissione pesca - di estendere quei principi ad altri alimenti, ma ciò potrebbe essere messo in pratica non prima di tre anni. Non è abbastanza. In questa situazione non possiamo apsettare tre anni prima di dare protezione ai consumatori". "Dobbiamo sapere se il pesce che finisce in scatola può venire dalle acque giapponesi o no" ha concluso l'esponente del Pd.(ANSA).

mercoledì 6 aprile 2011

da ilfattoalimentare.it

Elogio della sardina: è saporita, costa poco, fa bene alla salute e anche all'ambiente

La  Organización de Consumidores y Usuarios (Ocu) ha cercato gli acidi grassi Omega-3 in 27 diversi alimenti. La regolare assunzione di questi acidi grassi nella dieta è consigliata dai nutrizionisti perché fanno bene al sistema cardiovascolare e a quello cerebrale. Il migliore? La sardina in scatola: è assai ricca di acidi grassi benefici, costa poco e non pregiudica gli equilibri dell’ecosistema.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di assumere ogni giorno almeno 200 mg di Omega-3. «Sono acidi grassi polinsaturi essenziali, che l’organismo non è in grado di sintetizzare e deve quindi introdurre attraverso gli alimenti, spiega Ángel Gil, docente di Biochimica e biologia molecolare all’Università di Granada. Gli Omega-3 si distinguono in DHA ed EPA. I primi sono una parte importante del sistema nervoso e di alcune cellule, come quelle della retina. Sono indispensabili fin dalla vita embrionale e le donne devono assumerne in abbondanza durante la gravidanza».
Ma gli Omega-3 sono anche fattori di salute per il cervello e per il cuore. «Sempre più dati mostrano che un adeguato apporto aiuta la prevenzione di malattie degenerative, incluso il morbo di Alzheimer, e dunque aiutano a evitare la morte neuronale», prosegue il professor Gil, che presedierà il Congresso mondiale della Nutrizione a Granada nel 2013. «Venti grammi di pesce in più ogni settimana possono ridurre del 7% il rischio di mortalità per patologie cardiovascolari».
La dieta mediterranea – ricca di pesce, frutta e verdura, cereali e legumi, olio d’oliva, con minori apporti di carni, latte e loro derivati – può fornire in media 800-1000 mg di Omega-3 al giorno. Ma oggi, con il progressivo abbandono delle tradizioni alimentari, ne stiamo assumento sempre di meno.
«I giovani hanno ridotto i consumi di verdure e legumi, e anche di pesce, riprende il Professor Gil. Mentre la nostra raccomandazione è di mangiare pesce almeno due volte, meglio ancora quattro volte la settimana, specialmente il pesce azzurro. Poiché, oltre a  questi acidi grassi, contiene proteine di alto valore biologico e importanti minerali come fosforo, iodio e zinco».
Il pesce è la miglior fonte di Omega-3. L’associazione madrilegna dei consumatori Ocu ha comunque voluto verificare i livelli di questo acido grasso in quattro categorie di cibi: latte e derivati, carni, fette biscottate, alimenti vari. In alcuni dei prodotti esaminati gli Omega-3 sono naturalmente presenti (es. conserve ittiche), in altri sono stati aggiunti, in altri ancora derivano da interventi ad hoc nella filiera (es. alimentazione innovativa delle galline ovaiole).
Le analisi hanno rilevato addirittura alcuni scostamenti in difetto rispetto ai valori dichiarati dai produttori. Ma nessuno dei cibi considerati è stato in grado di competere con la sardina: basta la metà di uno di questi pesciolini ad apportare la quantità giornaliera raccomandata di Omega-3. Al pari di un filetto di salmone, il cui costo è tuttavia assai superiore.
«Oggi la gente sa che il pesce fa bene alla salute, ma non lo consuma abbastanza: per la difficoltà di preparazione, la paura delle lische e il prezzo», spiega Carmen Gómez Candela, responsabile dell’unità di nutrizione clinica e dietetica all’ospedale La Paz di Madrid. E allora, quando non si ha occasione o possibilità di acquistare pesce fresco, si ha poca voglia o poca dimestichezza nel prepararlo, si apra una conserva di sardine.
Un’ultima nota positiva: le sardine, come le acciughe e le aringhe, non sono a rischio di estinzione. Sono piccoli pelagici che si nutrono di plancton e viaggiano in folti branchi (fino a 10 milioni), la pesca è facile (senza eccessivi consumi di carburante da parte dei pescherecci) e raggiunge i 30 milioni di tonnellate l’anno, un terzo della cattura complessiva a livello globale. Tuttavia solo una minima parte, circa l’uno per cento, finisce sulle nostre tavole. Oltre il 50% delle sardine viene infatti impiegato per alimentare i pesci di allevamento, come il salmone e l’aragosta in Canada. E un altro 40% è utilizzato per integrare i mangimi di avicoli e suini con proteine nobili.
Secondo Jackie Alder, uno degli autori di un recente studio dell’Università canadese del British Columbia, l’aumento del consumo umano diretto delle sardine sarebbe una soluzione “environmentally friendly” (rispetto al loro impiego nella catena alimentare dei pesci d’acquacoltura) e potrebbe ridurre la pressione sulle specie ittiche a rischio di estinzione.
I piccoli pelagici sono una valida alternativa rispetto al consumo di altre specie ittiche. A ben vedere, le aringhe sono un ingrediente chiave di molti piatti scandinavi, così come le acciughe – e in minor misura, anche le sardine – lo sono nei paesi del Mediterraneo. Queste buone abitudini vanno però lentamente a perdersi: è difficile preservarle ed è ancor più difficile esportarle nel resto del mondo. Poiché si tratta  di pesci piccoli, spinosi e molto saporiti.
Si potrebbe iniziare a promuovere le sardine con un video sulla loro vita, come quello realizzato dalla BBC. Ma servirebbe l’aiuto di rinomati “chef” - magari col contributo dei produttori spagnoli, portoghesi e italiani – per sostenere il rilancio dei consumi, promuovendo ricette facili e gustose.
Dario Dongo
foto: Photos.com

Per maggiori informazioni:
- la sostenibilità del consumo di sardine e altri piccoli pelagici: http://sparkshouse.com/wpress/?p=223

lunedì 4 aprile 2011

da coldiretti.it

GIAPPONE: COLDIRETTI,  OCCHIO A ETICHETTA PER PESCE MEDITERRANEO

Per controllare direttamente l’origine del pesce acquistato occorre verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere la zona di pesca, e scegliere la “zona Fao 37” se si vuole acquistare prodotto pescato del Mediterraneo. E’ quanto afferma ImpresaPesca della Coldiretti in riferimento ai dati allarmanti sul versamento in mare di acqua radioattiva proveniente dell'impianto nucleare di Fukushima in Giappone. Nonostante il fatto che le importazioni di pesce dal Giappone siano praticamente trascurabili, per un valore che nel 2010 è stato di appena 700mila euro, vale la pena di cogliere l’occasione – sottolinea la Coldiretti - per preferire il pesce del Mediterraneo considerato anche che gli acquisti di pesce azzurro come alici e di triglie sono diminuiti del 12 per cento nel 2010, secondo una analisi ImpresaPesca Coldiretti. In sofferenza anche il pesce bianco con i consumi di merluzzi e naselli che - precisa Coldiretti ImpresaPesca - sono in calo addirittura del 13 per cento. Nessun problema quindi per il pesce mediterraneo ma anche - precisa la Coldiretti - per gli altri pesci utilizzati nei ristoranti giapponesi per la preparazione del sushi che vengono comunque acquistati localmente.




venerdì 1 aprile 2011

Rapporto Fao su pesca e acquacoltura. La parola all'esperto (da slowfish.it

Intervista a Silvio Greco, biologo marino e presidente del Comitato scientifico di Slow Fish, sui dati dell'ultimo rapporto Fao sulla pesca e l'acquacoltura (Sofia 2010) pubblicato settimana scorsa.


Secondo il rapporto della FAO l’acquacoltura è in forte crescita e presto supererà per quantità prodotte il pesce di cattura. Secondo il pensare comune sarebbe un’ottima alternativa alla pesca, per evitare l’estinzione di molte specie. E’ davvero così? C’è un’acquacoltura buona e una cattiva?

La produzione da acquacoltura potrà superare in termini numerici e tonnellate le quantità di pesce pescato senza mai eguagliarlo in termini di specie. Le specie allevate, infatti, sono pochissime, circa sei di pesce, due di crostacei e qualche mollusco mentre le specie di pesci commerciali e commestibili sono circa 500. Quindi è chiaro che un sorpasso sarà possibile solo in termini di produzione. L’acquacoltura normalmente alleva pesci nutrendoli con farine di altri pesci selvatici, quindi ci si domanda se sia etico e sostenibile ammazzare 22kg di pesce selvatico per ottenere un kg di pesce allevato.

Quote pesca. Ci può spiegare in breve cosa sono, e se veramente sono efficaci per tutelare gli ecosistemi marini?

Si tratta di un sistema che, relativamente ad ogni specie, di fatto individua la quantità di pesce che ogni singolo Paese può pescare. Ovviamente il calcolo viene fatto in modo che il prelievo totale mantenga l’esistenza delle specie. Questo sistema di quote, molto usato nei mari del nord, si è rivelato fallimentare rispetto ad alcune specie, quali il merluzzo. Al momento la comunità scientifica si chiede se il sistema delle quote sia significativo. Ad esempio, nei mari del nord ci sono alcuni stock di pesce, come le aringhe e altre 5-6 specie e una grande quantità di individui rispetto a queste specie. Quindi è chiaro che la quota in qualche modo potrebbe avere un senso. Ma in un ambiente mediterraneo, in cui c’è una pesca multispecifica, in cui cioè ci sono numerosissime specie pescate con pochissimi individui, è chiaro che il sistema delle quote ha delle lacune. La comunità scientifica internazionale sta cercando nuovi modelli di gestione che siano sostenibili, cioè che oltre alla quota si preoccupino della biologia riproduttiva delle specie.

Il rapporto sottolinea il grave problema della pesca illegale. La crescente richiesta sul mercato di prodotti ittici non fa che incrementare questo fenomeno. Ci sono progetti efficaci per combatterla? La Fao ribadisce la necessità di dar vita al “Global Record”, un registro mondiale delle imbarcazioni impiegate nella pesca. Servirà?

Il problema della pesca illegale è planetario, e si parla di pesca illegale e incontrollata (Illegal, unregulated and unreported fishing – IUU). Il consumo di pesce nel nostro pianeta è passato da una media pro capite di 9 kg ai 24 attuali. Una tale richiesta fa si che si inneschi un meccanismo di illegalità. Illegalità che tra l’altro è di varia natura perchè quando si parla di pesca illegale si intendono ad esempio gli animali sotto taglia pescati da imbarcazioni regolari, ma anche la pesca di individui in ambienti vietati, quali ad esempio la fascia costiera o le aree protette. C’è un problema di illegalità diffusa che attualmente rappresenta oltre il 60% del prodotto immesso sul mercato, come denunciato dal Comitato per la Pesca della Fao (COFI). È chiaro che l’illegalità si può smantellare introducendo strumenti di controllo quali ad esempio il registro mondiale delle imbarcazioni e del pescato, che creano un meccanismo di tracciabilità del prodotto che arriva alle nostre tavole e può essere usato per combattere l’illegalità. Però è chiaro che è necessaria una perdita di sovranità nazionale, serve che tutti gli Stati si rendano conto che devono collaborare.

La Fao punta il dito anche sull’enorme spreco della pesca “accidentale”. Che cosa è? E come si può combatterla?

Si parla di bycatch, o pesca accidentale, quando per pescare un determinato organismo si coinvolgono altre specie non previste. Il problema della pesca accidentale ha interessato nel corso degli anni i cetacei e i mammiferi marini, come i delfini. In alcune aree le reti per pescare il pesce spada sono dotate di maglie particolari che bloccano i delfini, uccidendoli. Il problema del bycatch si risolve preparando attrezzi di pesca tipo longline e palangari che siano sempre più selettivi, indirizzati a pescare solo ed esclusivamente la specie target. Questo è l’unico sistema per ridurre il bycatch.

Il rapporto riconosce alla pesca su piccola scala un ruolo primario in quanto a sostenibilità e tutela degli ecosistemi. Le comunità di pescatori possono essere davvero i guardiani dell’ambiente marino e costiero?

Assolutamente si, perchè è evidente che i pescatori della piccola pesca sono quelli che vivono giornalmente l’ecosistema marino costiero, hanno una piena conoscenza delle specie presenti e del numero di individui. Però è chiaro che serve un intervento da parte dello stato. Ad esempio prendiamo il divieto della pesca dei bianchetti da parte dell’Unione Europea. È evidente che non possono essere i pescatori da soli a incaricarsi della protezione di questa specie, ma è necessario un intervento diretto delle autorità, per rendere efficace la protezione degli ecosistemi.

La Fao sottolinea i benefici nutrizionali del pesce, ma allo stesso tempo parla delle sostanze contaminanti presenti in molti esemplari. Quindi questo significa che dobbiamo limitarne il consumo? E quali sono i pesci che possiamo mangiare senza danneggiare l’ecosistema e la nostra salute?

Noi abbiamo un problema di contaminazione degli ecosistemi che diventa anche un problema di contaminazione degli organismi. Ad esempio, un animale che vive molti decenni, quale ad esempio il tonno o il pesce spada, ha la possibilità di accumulare contaminanti attraverso un processo che si chiama biomagnificazione, quindi è chiaro che si debba in qualche modo favorire il consumo di pesce a ciclo di vita breve, quale il pesce azzurro, cioè quei pesci che non fanno in tempo a contaminarsi. Dobbiamo pretendere che ci sia una migliore qualità degli ecosistemi e un mantenimento degli ecosistemi naturali. Ci sono tutta una serie di pesci attraverso il cui consumo si riduce l’impatto ambientale. Sulle tavole degli italiani troviamo solo 5-6 specie, 10 al massimo nelle famiglie più attente, e sempre i cosiddetti pesci bistecca come il pesce spada o il tonno, rispetto alle 300 specie commestibili presenti in Italia. Quindi è chiaro che attraverso i nostri consumi influiamo sugli ecosistemi.

Ultima domanda. «Tra 40 anni oceani senza pesci», questo l’allarme lanciato tempo fa da Pavan Sukhdev, del Programma ambientale dell’Onu. Che cosa ne pensa, riusciremo a salvare i nostri mari e chi deve agire?

La preoccupazione è elevata perchè il prelievo delle risorse e l’inquinamento possono causare se non l’esaurimento di tutte le specie, sicuramente la scomparsa di alcune. Chi deve intervenire? Dobbiamo intervenire tutti. La Fao ha questa grossa responsabilità, è uno dei pochi organismi internazionali che ha un Fisheries Committee dove partecipano quasi tutti i Paesi del pianeta. È chiaro che si può intervenire solo tramite una perdita di sovranità popolare. Noi dobbiamo fare passare il concetto che le risorse rinnovabili del mare appartengono a tutti e quindi nell’ottica di un bene comune devono essere protette da tutti. Ogni Paese deve perdere un po’ di sovranità popolare a favore di un ente terzo che può essere la Fao. È necessario lo sforzo di tutti, dei governi ma anche dei consumatori, che non devono chiedere sempre gli stessi pesci e prestare maggiore attenzione a ciò che acquistano.