Valle Sacchetta Sacchettina

Valle Sacchetta Sacchettina
visitata lo scorso 13 novembre

venerdì 29 luglio 2011

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2011/07/29/news/il_falso_del_pesce-19744483/?ref=HREC1-7

giovedì 28 luglio 2011

Tonno e rischio estinzione: la nuova campagna As do Mar punta sul rispetto. Del mare, dei pesci e del suoi dipendenti

Ilfattoalimentare.it si è occupato spesso delle problematiche relative alla pesca sostenibile del tonno, una delle specie ittiche più sfruttate e a rischio. Tra l’altro, segnalando le campagne di Greenpeace che hanno messo in luce le aziende alimentari più corrette (poche, accanto a tante “bocciate” sul piano ecologico) nella produzione della conserva più consumata al mondo. Tra queste As Do Mar, (Gruppo Generale Conserve, fatturato 2010: 123 milioni di euro; fatturato previsto 2011: 146 milioni di euro).leader del segmento premium e tra i primi attori del mercato del tonno.
Proprio in questi mesi l’azienda ha lanciato una innovativa campagna pubblicitaria firmata Tbwa\Italia: al centro del messaggio non ci sono solo le qualità organolettiche dei prodotti, ma il valore etico che Generale Conserve persegue da anni: il rispetto. Per il mare, la materia prima e i propri dipendenti. I protagonisti della campagna, un cartone animato prodotto in 3D, sono due operai - un uomo e una donna - di As do Mar che si fanno portavoce dell'azienda in cui lavorano per raccontarne i valori fondamentali.
Come spiega un comunicato dell’azienda, As do Mar lavora solo tonno adulto (Tonno Skipjack e Tonno Pinna Gialla) - quindi di peso uguale o superiore ai 20 Kg - per assicurare la riproduzione degli esemplari e non utilizza specie in pericolo, come il tonno rosso, né acquista tonno proveniente da riserve marine  o da zone destinate a diventarlo. Inoltre, la pesca avviene solo con imbarcazioni legalmente registrate e iscritte nel registro sanitario Europeo, che utilizzano metodi selettivi, cioè che riducono il più possibile le prese accidentali di delfini, squali e altre specie protette.
Questa attenzione è valsa ai prodotti la certificazione di “Friend of The Sea”, l’organizzazione no-profit internazionale che promuove gli alimenti da pesca e acquacultura sostenibile. Friend of The Sea certifica solo prodotti provenienti da zone di mare non sovrasfruttate, la cui pesca prevede metodi selettivi e non dannosi per il fondo del mare.
Oltre a questo, nello stabilimento di Olbia - che occupa circa 250 persone, quasi tutte donne -  As do Mar lavora solo tonni interi. L’azienda ha ottenuto anche la certificazione SA 8000, perchè Generale Conserve risponde a specifici requisiti etico sociali e si impegna a garantire la tutela delle condizioni di lavoro per tutti coloro che operano all'interno del ciclo produttivo.
Un ultima nota: lo stabilimento è alimentato al 100% da energia verde: un buon esempio di come si può coniugare qualità, impiego e rispetto per l'ambiente in Italia.

 Mariateresa Truncellito

sabato 23 luglio 2011

centrale Porto Tolle: no al carbone!



Ciao,

Luca Zaia, il governatore leghista della Regione Veneto, vuole fare un regalo a Enel: cambiare la legge di un parco già fragilissimo – quello del Delta del Po – per consentire la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle. C'è poco tempo per fermarlo: in Consiglio regionale stanno discutendo la legge proprio in queste ore.

L'inquinamento atmosferico prodotto dalla centrale a carbone impatterebbe su un'area di centinaia di chilometri, rendendo l'aria della "Padania" ancor più irrespirabile. 
Questa centrale produrrebbe:
  • Più di 10 milioni di tonnellate l'anno di CO2: oltre 4 volte le emissioni annuali di una città come Milano
  • Circa 2.800 tonnellate l'anno di ossidi di azoto, equivalenti alle emissioni annue di 3,5 milioni di auto
  • Circa 3.700 tonnellate di ossidi di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni annue dell'intero settore trasporti in Italia

Il progetto di riconversione a carbone è già stato bocciato dal Consiglio di Stato: vogliono cambiare la legge per aggirare la sentenza e favorire Enel.

L'occupazione e lo sviluppo industriale non c'entrano nulla. Davanti alla vecchia centrale c'è il terminal gasifero offshore più grande del mondo: convertire la centrale a gas costerebbe la metà, occuperebbe poco meno e inquinerebbe molto meno. Se poi Enel spendesse quei soldi in energia pulita, occuperebbe fino a 17 volte di più.



Grazie!
 



Andrea Boraschi
Responsabile campagna Energia e Clima 
Greenpeace Italia

lunedì 18 luglio 2011

Solo pesce italiano, Sloweb


08/07/2011 - Sloweb
«Un sistema semplice e immediato per riconoscere il prodotto nazionale, meglio di complicate etichette e di cartellini sulle zone fao di pesca», è il marchio “solo pesce italiano”.
Con questro nuovo strumento Agci Agrital si propone di offrire ai propri pescatori l’opportunità di vendere i propri prodotti direttamente al dettaglio o alla Gdo, usufruendo anche di un marchio collettivo e aumentando la possibilità di vendita a prezzi remunerativi, in un mercato sempre più dominato dalle importazioni.

Il marchio rientra nel progetto “concentrazione e miglioramento della commercializzazione ittica”, finanziato dalla direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali. «Il marchio “solo pesce italiano” – ha detto il prediente di Agci Agrital, Giampaolo Buonfiglio - è un importante tassello di iniziative che la nostra associazione sta sviluppando in tema di distribuzione e commercializzazione, quale unico ambito in cui le nostre cooperative possono oggi recuperare valore aggiunto, diversificare le loro attività e recuperare un futuro sempre più minacciato dalla progressiva perdita di redditività dell’attività di pesca, stretta tra aumenti dei costi e stagnazione dei prezzi alla prima vendita. Grazie alla riconoscibilità del prodotto italiano nelle pescherie dell’agenzia ittica - pescherie italiane -, pensiamo che i consumatori possano fare acquisti più consapevoli e premiare il lavoro delle nostre cooperative, aiutandole anche ad uscire dalla difficile situazione che recenti trasmissioni televisive hanno dipinto in modo impietoso» ha concluso Buonfiglio.

sabato 16 luglio 2011

La nuova politica europea sulla pesca da ilfattoquotidiano.it

Insufficienti. Così sono stati bollati i nuovi indirizzi comunitari sulle attività ittiche varati dalla commissione. Secondo Wwf, Greepeace e Ocean2012, il pacchetto di misure non risolve il problema dell'overfishing e dell'illegalità diffusa nei mari dell'Ue
Era attesa da anni per cercare di dare una risposta alle sempre più impellenti sfide ambientali e sociali. Ma la nuova politica Ue sulla pesca è stata giudicata insufficiente dalle associazioni ambientaliste di tutta Europa. Ed effettivamente la tragedia che ogni giorno si compie nei mari europei richiede ben altra risposta.

Resta sostanzialmente irrisolto, secondo gli ambientalisti, il problema del cosiddetto “overfishing”, la pesca in eccesso sia alla domanda del mercato che alle quote concesse dall’attuale politica di settore (PCP). In parole povere, i pescherecci pescano una quantità di pesce eccessiva, comprese specie ittiche non vendibili, e non potendo attraccare con questo carico, pena multe molto salate, preferiscono gettare il surplus di pescato in mare. La maggior parte di questi pesci o è già morto o difficilmente riuscirà a sopravvivere. Secondo stime della Commissione, si parla del 62 per cento del pescato nel Mare del Nord e di ben l’82 per cento nel Mediterraneo. Il risultato è che il 23 per cento (un pesce su cinque) di tutto il pescato viene rigettato in mare. E’ per questo che da anni le associazioni come Ocean2012 lottano per spingere Bruxelles a “ridurre la pressione della pesca per ricostituire gli stock ittici europei”.

Sì perché a stabilire le linee guida di tutta la pesca comunitaria è proprio Bruxelles, che non solo stabilisce le quote di quanto si può pescare, ma distribuisce anche finanziamenti ai pescatori per sviluppare la propria attività in modo “sostenibile”. E’ il caso dei milioni piovuti soprattutto nei Paesi del sud Europa (Italia, Spagna e Francia), dove operano soprattutto pescherecci “artigianali”, ovvero inferiori a 12 metri (il 77 per cento della flotta europea). Il problema è che, come spesso succede, buona parte di questi fondi non vengono utilizzati correttamente. In una lettera congiunta al presidente della Commissione Barroso, associazioni ambientaliste come WWF, Greenpeace, Pew e Ocean2012 hanno denunciato che circa 26 milioni di euro tra il 1994 e il 2010 non hanno fatto altro che finanziare la pesca illegale. Attività di frodo che tramite l’utilizzo illegale di reti derivanti, ovvero spadare (al bando Onu dal 2002) e ferrettare, catturano specie protette rovinando irrimediabilmente i fondali marini. Centinaia di pescherecci, molti battenti bandiera italiana, continuano a pescare indisturbati, tant’è che si stima che il 50 per cento della pesca nel Mediterraneo sia illegale (con un giro d’affari di 10 miliardi l’anno in tutta l’Ue). E il colmo è che sono proprio questi pescherecci ad usufruire ampiamente dei sussidi comunitari, scandalo che ha destato l’intervento della Corte di Giustizia europea che ha condannato l’Italia alla restituzione di 7,7 milioni di euro d’aiuti.
Adesso la Commissione si propone di “sfruttare gli stock ittici in modo sostenibile entro il 2015” con una serie di misure che vanno dalla commercializzazione delle quote di pescato alla decentralizzazione delle misure da attuare per raggiungere gli obiettivi stabiliti a Bruxelles. Ma secondo le associazioni ambientaliste, il piano presentato con soddisfazione dalla commissaria Ue Maria Damanaki manca di misure concrete per raggiungere questi obiettivi. Innanzitutto andrebbe ridotta la flotta complessiva dei pescherecci, circa il triplo di quella sostenibile. Poi una maggiore regolamentazione della pesca artigianale, maggioritaria ad esempio nel Mediterraneo. Poi ancora i dubbi relativi alla commercializzazione delle quote di pescato. Servirà davvero ad evitare il rigetto dei pesci in mare? Infine la pesca extraeuropea. Circa il 60 per cento dei prodotti ittici che finiscono nel mercato Ue viene pescato in acque extraeuropee nelle quali finora ha regnato la legge del far west.

“La proposta della Commissione è insufficiente per rispondere a queste sfide”, ha dichiarato Uta Bellion, direttrice Ocean2012. “Purtroppo i ministri della pesca nazionali hanno fallito nell’amministrare queste risorse fin da quando la politica della pesca comune è stata creata più di 30 anni fa. Immediati e spicci interessi economici hanno sempre prevalso”.

La proposta della Commissione dovrà adesso passare al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio Ue, dove sono presumibili sgambetti dei Paesi maggiormente interessati agli aiuti di settore, come Italia e Spagna. Qualche mese fa il giornalista inglese Hugh Fearnley-Whittingstall ha lanciato una petizione on-line per chiedere a Bruxelles azioni concrete per una pesca più sostenibile. L’obiettivo era raggiungere le 250mila firme entro l’estate. Ad oggi sono già oltre 700mila. Il milione di firme necessarie per la nuova legge d’iniziativa popolare è ormai dietro l’angolo.

venerdì 15 luglio 2011

In concomitanza con la proposta di riforma della Politica Comunitaria della Pesca, proposta dalla Commissione Europea, il WWF indice una petizione indirizzata al Presidente e ai Membri del Parlamento Europeo per chiedere una riforma radicale della politica della pesca europea. La pesca eccessiva ha consumato gli stock ittici in Europa e nel mondo. Di pesce, ormai ce n'e' poco. E sono i pescatori, oltre a noi, a dirlo!
Nelle acque europee circa il 70% degli stock ittici sono sovrasfruttati. Si pescano più pesci di quanti ne nascono. Specie simbolo come il tonno rosso del Mediterraneo o il baccalà dell'Atlantico sono stati enormemente sfruttati per decenni. E 'tempo di cambiare e abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti voi.
Firma la petizione e invita i tuoi amici a fare lo stesso, firma ora >>

Un mare senza pesci è un mare morto, Wwf Italia

mercoledì 13 luglio 2011

Allarme tonno: pericolo estinzione per sette specie, le stime realizate dall'IUCN

Per continuare a gustare il tonno nei prossimi anni bisogna momentaneamente smettere di mangiarlo,  o quanto meno consumarlo con molta moderazione. Il problema è serio perché più della metà delle specie è ormai prossima all'estinzione ed è ormai indispensabile preservare gli esemplari più a rischio e regolamentare in maniera severa il commercio mondiale.
L'allarme arriva dalle pagine di Science, che ha pubblicato l'ultimo rapporto della International Union for Conservation of Nature (IUCN), contenente notizie davvero allarmanti sulla situazione degli sgombridi e non solo.
Tonni, sgombri, marlin, pesci spada e altri pesci molto amati dai consumatori di tutto il mondo sono sull'orlo dell'abisso: delle 61 specie censite, sette sono entrare nella red list dell'IUCN, l’elenco che segnala le specie più vicine all'estinzione, con diversi livelli di gravità.
La situazione è particolarmente critica per quanto riguarda i tonni, visto che cinque delle otto specie normalmente presenti sulle tavole di molti paesi sono state inserite nella red list. In particolare, il Thunnus maccoyi, rosso, classificato come "seriamente minacciato", il thynnus, "in pericolo", l'obesus, "vulnerabile", l'albacares (pinnagialla), "molto vicino a essere seriamente minacciato", così come l'albacore. Non stanno meglio i marlin: quello blu (Makaira nigricans) e quello bianco (Kajikia albida) sono "vulnerabili", mentre quello a strisce (Kajira audax) è "molto vicino a essere seriamente minacciato".
In realtà, sottolineano gli autori, la maggior parte delle specie pescate per il consumo umano è in condizioni critiche, perché i cicli riproduttivi sono lunghi e non permettono ai nuovi nati di rimpiazzare adeguatamente gli esemplari catturati. Non solo: gli sgombridi sono ai vertici della catena alimentare marina, e il loro impoverimento ha ricadute negative su tutto l'ecosistema, e quindi anche su molte altre specie apprezzate dall’uomo.
Spiega Kent Carpenter, capo della IUCN'marine Bodiversity Unit e docente all'Università Old Dominion: "I tonni rossi dell'Atlantico occidentale, in calo costante già dagli anni settanta, potrebbero scomparire molto presto, se non si interromperà subito e in maniera totale la pesca, e lo stesso vale per altre specie".
Provvedimenti così drastici - ammette lo stesso Carpenter - potrebbero far lievitare la pesca illegale, ma tale rischio potrebbe essere limitato se, insieme al divieto totale di pesca, si adottassero altri provvedimenti volti a sostenere i pescatori e a soddisfare i consumatori, nell'ottica di un programma globale di tutela e ripopolamento.
Agnese Codignola
da ilfattoalimentare.it

Fermo Pesca, la Manovra stanzia 22 milioni di euro a sostegno delle imprese ittiche

Tra le disposizioni "urgenti per la stabilizzazione finanziaria" del decreto-legge 6l luglio n. 98, pubblicato il 7 luglio sulla Gazzetta ufficiale n.155, anche il sostegno alle imprese di pesca in seguito alle disposizioni di fermo pesca (COMMI 1-3, ART. 35) di 45 giorni, istituito per "fronteggiare lo stato di eccezionale sovra-sfruttamento delle risorse ittiche" e per "far fronte al rialzo dei costi energetici e di produzione che hanno determinato ripercussioni negative nei confronti del reddito degli operatori del settore". Un fermo indispensabile per fronteggiare una delle più grave crisi che coinvolge il pesce bianco e azzurro dei nostri mari e consentire il ripopolamento ittico. Il decreto rimanda MIPAAF per le modalità di concessione alle imprese di pesca della compensazione e stanzia 22 milioni di euro per l'anno 2011. La copertura è assicurata per 13 milioni di euro attraverso le assegnazioni finanziarie dell'asse prioritario 1 - misure per l 'adeguamento della flotta comunitaria del regolamento ce n. 1198/2006 e, per 9 milioni di euro, dal fondo rotativo di cui all'art. 5 della legge 183/1987 (fondo per l'attuazione delle politiche comunitarie).
Il fermo pesca e le relative compensazioni sono, per AIAB, strategie che rispondono a stati di crisi in modo temporaneo e poco efficace.  Una pianificazione del sistema della pesca secondo un'azione partecipata ed integrata fra pesca e  sistemi di acquacoltura, invece, darebbe una risposta più efficace e orientata verso un sistema di produzione veramente sostenibile. Proprio per rispondere in modo efficace alle crisi del settore ittico e per stimolare uno sviluppo sostenibile delle aree costiere, AIAB promuove sistemi di acquacoltura, in particolare lungo le coste. Tali sistemi, infatti, potrebbero diventare sistemi alternativi di pesca nei momenti di fermo obbligatorio della pesca in mare per consentire il ripopolamento della popolazione ittica.

venerdì 1 luglio 2011

Pesce catturato e rigettato in mare: una campagna europea per porre fine allo spreco.

Raccolta firme di Fishfight.net

I promotori di “Fishfight”  hanno esposto un relitto di peschereccio davanti al Parlamento europeo a Bruxelles per denunciare il dramma dei pesci catturati dai pescherecci del Nord Europa e rigettati in acqua, come fossero alghe o scarti. Un contatore sulla chiglia dello scafo aggiorna il numero dellepersone che aderiscono alla raccolta di firme giunte a quota 700.000. Di che si tratta?
La storia dei pesci scartati post-mortem non è nuova, e i tempi sono maturi per mettere fine a questo scempio. La stessa Commissaria europea Maria Damanaki aveva indicato il tema degli scarti come un elemento chiave nella riforma della Politica europea della pesca, in una riunione a ciò appositamente dedicata lo scorso il 1° marzo. Già nel 2004 la FAO aveva stimato che almeno 7,3 milioni di tonnellate di pesce, vale a dire l’8% del totale delle catture, venissero scartate. Ma in Europa i dati sono assai peggiori e raggiungono il 50-70%, rispettivamente, nei casi delle “whitefish fisheries” e delle “flatfish fisheries”. Attività di pesca sul fondo, finalizzate alla cattura di esemplari caratteristici dell’Atlantico (come i merluzzi di varie specie, naselli, etc.) o di specie da sabbia (platesse, sogliole, rombi, halibut).
Secondo gli organizzatori si tratta di uno spreco insensato, che provoca  grave danno all’eco-sistema marino e alla bio-diversità. I nomi dei sostenitori della campagna saranno aggiunti a una lettera (vedi documento allegato) da inviare al Commissario Maria Damanaki, ai membri del gruppo di riforma della Politica Comune della Pesca (“Common Fisheries Policy Reform Group”) e a tutti i membri del Parlamento Europeo.
Per aderire basta inserire il proprio nome, cognome ed e-mail sul sito  http://www.fishfight.it. Perché farlo? Perché in assenza di regole a tutela di chi e di ciò che ci circonda, tutti tendono a limitare l’attenzione all’interesse personale di breve periodo. Ma il pensiero a un bene collettivo, quanto più è condiviso tanto più è capace di favorire alla vita nel lungo termine. Lo abbiamo visto per il nucleare, lo vedremo per i pescetti incagliati nelle reti, speriamo di vederlo prima che sia troppo tardi anche per il “land-grabbing”.
La soluzione è quella di proibire lo scarto dei pesci di minor interesse economico, sia pure con un approccio graduale. Anche i consumatori dovranno fare la loro parte, dedicando maggiore attenzione alle specie meno note e perciò anche più economiche, altrettanto saporite e salutari. da ilfattoalimentare.it